Due fratelli avevano convenuto in giudizio i nipoti della defunta madre, contestando che questi si fossero appropriati della somma di Euro 3.100,00, costituente il saldo attivo del conto corrente n. 23229 intestato alla defunta, oltre all’importo di Euro 132.685,61, contenuto in un dossier titoli. Su questo presupposto avevano dunque chiesto la condanna dei convenuti al pagamento della quota di 2/3 delle predette somme, corrispondenti alla quota ereditaria di loro spettanza, oltre al risarcimento del danno.
I convenuti, nel costituirsi, si erano opposti all’accoglimento della domanda, sostenendo che le somme fossero cointestate a far data dal 6.3.2003, giusta disposizione della stessa defunta, e che fossero pertanto da considerarsi in comunione pro indiviso e non frutto di appropriazione indebita.
Il Tribunale e la Corte d’Appello avevano riconosciuto l’indebita appropriazione da parte dei convenuti della quota di 1/3 delle somme di cui al dossier titoli e di parte del saldo attivo sul conto corrente e, per l’effetto, avevano condannato i convenuti in solido alla restituzione della somma di Euro 14.742,84 in favore di ciascuno degli attori.
Le due sentenze, però, avevano ridotto le somme pretese dagli attori, ritenendo che la cointestazione del conto operata dalla defunta in favore dei nipoti costituisse un valido atto di cessione di parte delle somme ivi depositate.
La Corte di Cassazione, con la recente sentenza Sez. III, Ord., (ud. 24-01-2019) 03-09-2019, n. 21963, ha rovesciato le decisioni di primo e secondo grado, ritenendo accertato, nella specie, che la defunta, sottoscrivendo due distinti moduli diretti alla banca, dispose che il dossier titoli, appoggiato al suo conto corrente, fosse cointestato ai due nipoti convenuti.
Per la Suprema Corte, il giudici del merito avevano errato nell’attribuire alla mera cointestazione di conti bancari il contenuto di un contratto di cessione del relativo credito, mentre la cointestazione è di per sè una mera dichiarazione rivolta alla banca (nella quale, peraltro, nella specie, non risulta enunciata nè la volontà di trasferire il credito e neppure la causa di tale cessione di credito, con conseguente nullità dell’ipotizzato contratto).
Sviluppando principi già affermati dalla Corte (cfr., ad es. Sez. 2, Sentenza n. 13614 del 30/05/2013, Rv. 626283 – 01) la sentenza sostiene che la cointestazione di un conto corrente, salvo prova di diversa volontà delle parti (ad es. dell’esistenza di un contratto di cui la cointestazione fosse atto esecutivo ovvero del fatto che la cointestazione costituisca una proposta contrattuale, accettata per comportamento concludente), è di per sè atto unilaterale idoneo a trasferire la legittimazione ad operare sul contro (e, quindi, rappresenta una forma di procura), ma non anche la titolarità del credito, in quanto il trasferimento della proprietà del contenuto di un conto corrente (ovvero dell’intestazione del deposito titoli che la banca detiene per conto del cliente) è una forma di cessione del credito (che il correntista ha verso la banca) e, quindi, presuppone un contratto tra cedente e cessionario.
Per tale ragione la Corte ha ritenuto che i convenuti non avessero