Con la pronuncia n. 6523 del 10/3/2021, la Sez. VI della Corte di Cassazione, a definizione di un conflitto di competenza, ha stabilito che la nota questione della nullità delle fideiussioni conformi allo schema ABI censurato nel 2005 vada rimessa alle Sezioni specializzate in materia di impresa ai sensi dell’art. 3 del d. lgs. n. 168 del 2003 che ha istituito tali Sezioni.
In realtà, la questione posta al regolamento della Corte non lasciava molti margini di dubbio, dal momento che nel caso affrontato si trattava di un’azione di nullità proposta in via di domanda diretta in un procedimento di opposizione all’esecuzione ex artt. 615 e 616 c.p.c.
Correttamente, quindi, la Corte ha premesso che:
“la questione si pone in relazione alle domande con le quali sia fatta vallere la nullità di fideiussioni, azionate da istituti di credito, che riproducono il testo dello schema contrattuale predisposto dall’A.b.i.”.
Considerando il tipo di azione esercitato, la Corte ha quindi giustamente rilevato che in un’azione di nullità proposta in via principale non può ritenersi una mutamento della natura della domanda rispetto a quella di nullità prevista in generale dall’art. 33 della legge Antitrust (l. n. 287/1990), per il solo fatto che l’azione sia volta a bloccare un’esecuzione pendente o minacciata:
“La nullità predicata dal singolo contraente deriva dalla invalidità dell’intesa a monte della stipula della fideiussione, per contrarietà al diritto della concorrenza; cosicché non può sostenersi, come invece fatto dal giudice a quo nell’odierna fattispecie, che la qualità della specifica controversia, come attinente all’art. 33 della I. n. 287 del 1990, venga poi meno“.
Pertanto, ogni qual volta si chieda al giudice un accertamento della nullità in via di azione, per certo la competenza non spetta al Tribunale ordinario:
“E’ indubbio che dinanzi a un’intesa restrittiva della libertà di concorrenza il consumatore veda eluso il proprio diritto a una scelta effettiva tra prodotti potenzialmente concorrenti (di qualunque genere essi siano). (…) E ove sia dedotto il danno da violazione di interessi riconosciuti rilevanti dall’ordinamento ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., il consumatore finale – ancora si è detto – ha comunque azione ancorché non sia partecipe di un rapporto di concorrenza con gli autori della collusione; e tale azione (in quel caso di risarcimento del danno) implica l’accertamento della nullità dell’intesa ai sensi dell’art. 33 della legge n. 287 del 1990, al punto che la relativa cognizione – venne allora precisato a fronte del testo pro tempore – è rimessa da quest’ultima norma alla competenza esclusiva, in unico grado di merito, della corte d’appello (cfr. la citata Cass. Sez. U n. 2207-05)”.
Una decisione scontata, se si pensa che l’opposizione all’escuzione, a differenza di quella a decreto ingiuntivo, dà origine ad una causa ordinaria in cui le posizioni sostanziali di attore e convenuto non sono rovesciate e che l’art. 33 della legge 1990 n. 287 contempla espressamente l’ipotesi dell’esercizio del diritto in via di azione:
Art. 33: “Le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV sono promossi davanti alla corte d’appello competente per territorio”.
Rimane aperta, quindi, la questione della competenza del tribunale ordinario in caso di nullità fatta valere in via di eccezione mediante l’opposizione al decreto ingiuntivo notificato dalla banca.