Un titolo che sembra uno scioglilingua, ma che risulta efficace per mettere in luce alcune ambiguità di una recente pronuncia della Suprema Corte, per la quale la banca è tenuta a versare alla procedura le rimesse effettuate dai clienti nell’ambito di un rapporto di anticipazione bancaria di effetti – anche nell’ipotesi paradossale in cui non abbia percepito alcunché – a meno che non provi che il mancato incasso non sia a sé imputabile. Lo ha affermato Cass. civ. Sez. I, Ord., (ud. 10-06-2021) 06-07-2021, n. 19186.

Nel caso trattato dalla Suprema Corte non si discuteva del diritto della banca di trattenere le rimesse effettuate in pagamento dal cliente della fallita nell’ambito dello sconto di portafoglio commerciale assistito da castelletto d’anticipazione bancaria.

Non si discuteva, cioè, delle forme di garanzia che la banca avrebbe potuto opporre per trattenere ogni pagamento ricevuto (cessione di credito, pegno irregolare, patto di compensazione), ma soltanto del fatto che la banca avesse o meno ricevuto il pagamento degli effetti anticipati dal cliente.

Nel caso di specie la curatela citò in causa la Banca Agricola Mantovana per ottenere la restituzione della somma di € 66.742,66, ritenuta indebitamente incassata dalla Banca Agricola Mantovana successivamente al deposito della domanda di amministrazione controllata da parte della società poi fallita, in forza di pregresse presentazioni di effetti con relative anticipazioni in conto corrente e mandato all’incasso.

Il giudice di primo grado rigettò la domanda, ritenendo, in particolare, che la curatela non avesse dimostrato, neppure chiedendo di accedere alla contabilità della fallita o alla documentazione bancaria, che le somme fossero state effettivamente incassate dall’istituto di credito, non potendosi pretendere da quest’ultimo la prova negativa del mancato incasso.

La Corte d’Appello di Bologna, in riforma della sentenza di primo grado, condannò la banca alla restituzione della somma di Euro 66.472,66, ritenendo che non spettasse alla mandante dimostrare la riscossione delle somme, spettando invece alla banca, in qualità di mandataria ed in virtù degli obblighi informativi che incombono sulla stessa, dimostrare il proprio esatto adempimento o l’impossibilità di adempiere ad essa non imputabile, o comunque che fossero stati fatti accordi di modifica o revoca delle pattuizioni successivi alla presentazione degli effetti.

Contro questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione la banca, deducendo che nel contratto di anticipazione bancaria per smobilizzo di crediti con mandato all’incasso, l’obbligo di riversare le somme sorga solo al momento dell’incasso dei crediti presso i debitori del cliente e non al momento del conferimento del mandato alla banca da parte dello stesso cliente e che, anche per questo, non possa onerarsi la banca della prova del fatto negativo del mancato incasso, così che sarebbe stato onere della curatela provare l’eventuale incasso da parte della banca.

La Corte di Cassazione ha preliminarmente osservato essere “orientamento consolidato di questa Corte (vedi Cass. n. 16299 del 2009) che il mandato irrevocabile ‘in rem propriam’ all’incasso di crediti nei confronti di un terzo implica il conferimento al mandatario della legittimazione alla riscossione del credito e, stante il generale obbligo di esecuzione del contratto secondo buona fede, pone a carico del mandatario stesso l’onere di provare di aver eseguito l’incarico con la dovuta diligenza, tanto è vero che se, da un lato, sul correntista grava il rischio dell’insolvenza del debitore, dall’altro, quello dello smarrimento del titolo grava sulla stessa banca, ai sensi dell’art. 1718 c.c., comma 4, quale detentrice del titolo, essendo la banca medesima, quale operatore professionale, in funzione dell’adempimento del mandato all’incasso conferitole dal correntista, tenuta alla custodia, anche se non abbia specificamente accettato l’incarico (sul punto vedi anche Cass. n. 7737/2010)“.

Inoltre, “questa Corte (Cass. n. 25904 del 2009) ha, altresì, enunciato il principio di diritto secondo cui, in tema di mandato oneroso, l’obbligo di rendiconto gravante sul mandatario consiste nell’informare il mandante di “ciò che è accaduto” e cioè nell’affermazione di fatti storici che hanno prodotto entrate ed uscite di denaro per effetto dell’attività svolta, al fine di ricostruire i rapporti di dare ed avere, con la relativa documentazione di spesa, essendo onere del mandante, una volta che l’informazione doverosa sia stata resa, non solo di specificare le partite che intende mettere in discussione, ma anche di dimostrare la fondatezza degli specifici motivi di critica alla qualità dell’adempimento, con esclusione di generiche doglianze concernenti le modalità di presentazione del conto ovvero il disordine dei documenti giustificativi“.

Per la Corte, dall’esame delle pronunce sopra citate emerge, in modo inequivocabile, che il mandatario cui sia stato conferito l’incarico di incassare somme presso terzi, proprio in virtù dell’obbligo di rendiconto che grava sullo stesso a norma dell’art. 1713 c.c. (nonchè, peraltro, dell’obbligo, impostogli dall’art. 1710 c.c., comma 2, di rendere note al mandante le eventuali circostanze sopravvenute che possono determinare la revoca o la modificazione del mandato), “non può limitarsi ad allegare sic et simpliciter il mancato incasso delle somme, ma deve consegnare al mandante tutta la documentazione, anche di natura contabile idonea a descrivere e giustificare il proprio operato. Sul punto, il mandatario non è affatto onerato della prova di un fatto negativo, bensì del fatto positivo di aver svolto l’incarico secondo buona fede, prova che può essere assolta fornendo al mandante i documenti di appoggio da cui emerga tutta l’attività svolta nell’esecuzione dell’incarico, ivi compresa l’eventualità che la mancata esecuzione (nel caso di specie l’incasso degli effetti) sia stata dovuta a causa allo stesso non imputabile“.

Tale impostazione per la Corte sarebbe anche coerente “con il principio già enunciato da questa Corte (vedi Cass. n. 13823 del 2002; conf. Cass. n. 8128/1990) secondo cui alla stregua del principio secondo cui il contratto deve essere eseguito secondo buona fede, in caso di sconto, ordinario o cambiario, il diritto della banca di ottenere dal cliente la restituzione della somma anticipata discende dal contratto, ma diviene attuale ed esercitabile solo a seguito dell’inadempimento del debitore ceduto, il quale opera quale condizione risolutiva dell’erogazione e, pertanto, spetta alla banca, che chieda detta restituzione, di fornire la prova dell’inadempienza del terzo“.

Il ricorso della banca è stato quindi respinto sulla base del seguentie principio di diritto: “In tema di anticipazione su ricevute bancarie regolata in conto corrente con mandato all’incasso, è onere della banca mandataria provare di aver eseguito il contratto secondo buona fede e, conseguentemente, che l’eventuale mancato incasso del credito dal terzo sia stato dovuto a causa ad essa non imputabile. Ne consegue che, in caso di ammissione del correntista e mandante alla procedura di amministrazione controllata in epoca successiva all’erogazione dell’anticipazione, la banca mandataria è tenuta a versare alla procedura le somme di cui non provi che il mancato incasso non a sé imputabile“.

In altri termini, la banca, deducendo ed eccependo di non aver incassato le rimesse di cui venga chiesta la restituzione (in quanto pagamenti destinati alla debitrice fallita, in assenza di forme di garanzia opponibili come la cessione di credito, il pegno irregolare o il patto di compensazione), dovrà accompagnare tale eccezione con la prova di aver fatto tutto quanto in suo potere per conseguire il pagamento. In caso contrario, potrà essere condannata alla restituzione, paradossalmente anche nell’ipotesi in cui – in effetti – alcun pagamento sia mai stato percepito.

Il che, in sostanza, equivale a qualificare la richeista della curatela di rimborso di rimesse come azione di rendiconto o azione risacitoria di inadempimento contrattuale, dalle quale – in caso di mancato incasso – la banca potrebbe liberarsi dimostrando di aver diligentemente adempiuto al mandato all’incasso conferito, posto che questo manterrebbe la sua natura di obbligazione di mezzi e non di risultato.

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