Con l’ordinanza n. 25852 del 14/10/2019, la Corte di Cassazione Civile, Sez. I ha affrontato nuovamente il tema del carattere plurimo delle domande proposte mediante azione revocatoria unitaria di diverse rimesse bancarie, nonché quello degli indici attraverso i quali si possa ritenere la consapevolezza della banca dela situazione di dissesto della cliente (c.d. scientia decotionis).
La Corte d’Appello di Perugia, con la sentenza n. 572/13 pubblicata il 12 novembre 2013, confermando la sentenza di primo grado, aveva dichiarato inefficaci ex art. 67, comma 2 l.fall. nei confronti della curatela fallimentare le rimesse, aventi natura solutoria, affluite sul conto corrente acceso dalla debitrice fallita presso Banca Intesa BCI, nel periodo compreso dal 24.6.1997 al 24.6.1998 e per l’effetto ha condannato la convenuta al pagamento di 642.818,29 Euro oltre ad interessi.
La Corte territoriale aveva in particolare ritenuto provata la scientia decoctionis in capo alla convenuta, considerando che risultasse dall’espletata istruttoria che l’istituto di credito aveva preteso di visionare non solo i bilanci di esercizio ma anche le situazioni patrimoniali provvisorie della società debitrice ed inoltre che le risultanze del bilancio di esercizio della stessa consentissero certamente di rilevare la gravi difficoltà finanziarie della medesima, divenute irreversibili a seguito della consistente perdita di esercizio risalente al 1997 che, erodendone il patrimonio aziendale, ne aveva determinato il dissesto.
Il giudice di appello, con riferimento al quantum della statuizione di condanna, aveva ritenuto inoltre che non fosse stata ampliata la materia del contendere, mediante l’inclusione di rimesse che non erano state contemplate in atto di citazione, in quanto la curatela aveva unicamente precisato l’ammontare delle rimesse revocabili sulla base delle risultanze della ctu; il giudice aveva inoltre ritenuto che la domanda fosse sufficientemente precisa, considerata la specifica indicazione del conto corrente sul quale le rimesse erano affluite e del periodo di tempo considerato (anno anteriore alla dichiarazione di fallimento), elementi tali da consentire alla banca convenuta la sufficiente individuazione dell’oggetto della domanda ed il pieno esercizio del proprio diritto di difesa.
Per la cassazione di tale pronuncia ha proposto ricorso avanti la Corte di Cassazione Intesa San Paolo spa.
Col primo motivo la banca ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e della L. Fall., art. 67, rilevando che la curatela attrice nell’atto di citazione avesse limitato la propria domanda alla revoca delle rimesse indicate, per relationem, nell’allegata consulenza di parte ed il cui ammontare complessivo coincidesse con l’importo indicato in atto di citazione, pari a 511.923,31 Euro; da ciò sarebbe conseguita la violazione dell’art. 112 c.p.c. (principio di corrispondenza fra il richiesto e il pronunciato), in quanto il giudice aveva condannato la banca al maggior importo di 642.818,29 Euro oltre ad interessi.
Il motivo è stato giudicato fondato dalla Corte di Cassazione.
La Corte territoriale aveva ritenuto che il petitum, come formulato nell’atto di citazione, avesse ad oggetto genericamente l‘intero ammontare delle rimesse revocabili effettuate sul c/c acceso dalla debitrice presso la banca convenuta, nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, onde il riferimento alla allegata consulenza di parte non costituiva limitazione della domanda.
Tale statuizione non è stata giudicata conforme a diritto.
Per la Corte di Cassazione, come desumibile dal contenuto dell’atto di citazione, la curatela aveva fatto specifico riferimento “ai versamenti e pagamenti, comunque effettuati tra il 24.6.1997 e 24.6.1998… meglio individuati negli estratti conto del c/c scoperto, chiaramente riordinati secondo il saldo disponibile nella Ctp che si allega.” La curatela attrice aveva poi espressamente collegato (“Piaccia di conseguenza… condannare“) l’ammontare della somma richiesta in atto di citazione alle rimesse indicate nella ctp allegata, il cui importo, pari ad Euro 511.923,31, corrispondeva alla somma delle rimesse indicate come revocabili nella consulenza di parte e chiesta dall’attrice nell’atto di citazione.
Come la Corte di Cassazione ha già avuto modo di affermare, nell’azione revocatoria fallimentare, avente ad oggetto la dichiarazione di inefficacia di più rimesse bancarie solutorie, non viene proposta una sola domanda, ma tante domande quante sono le rimesse ritenute revocabili, trattandosi di domande fondate su fatti costitutivi diversi, sicchè, ove in sede di precisazione delle conclusioni sia richiesta la revoca di un maggior numero di rimesse, rispetto a quelle indicate nell’atto di citazione, deve ritenersi che sia stata proposta una inammissibile domanda nuova, poichè l’estensione della revoca comporta il riferimento a fatti costitutivi nuovi e non allegati con l’originario atto di citazione (Cass. 13767/2015; 17090/2008).
Nel caso di specie, i fatti costitutivi specificamente indicati in atto di citazione erano costituti dalle singole rimesse qualificate come revocabili nella consulenza di parte, mentre la riserva adoperata in atto di citazione (maggior somma risultante dall’istruttoria) non appare idonea a giustificare l’estensione generalizzata al maggior importo richiesto in sede di precisazione delle conclusioni, se non nei limiti delle rimesse – quali fatti costitutivi del credito – indicate nell’allegata consulenza di parte.
Tale richiesta, di una maggiore somma risultante dall’istruttoria, infatti, non opera sul piano della causa petendi, ma su quello, distinto, del petitum e non vale dunque a sopperire alla mancata indicazione della causa petendi e dunque a giustificare il riferimento a fatti costitutivi nuovi (nel caso di specie le ulteriori rimesse revocabili) non indicate nell’atto di citazione a fronte di quelle specificamente identificate (per relationem) in tale atto.
Il secondo motivo denunciava violazione della L. Fall., art. 67 e degli artt. 2722 e 2729 c.c., lamentando l’inidoneità degli elementi in forza dei quali la Corte d’Appello aveva ritenuto la sussistenza in capo alla banca della scientia decoctionis, in relazione all’intero periodo compreso tra il 24 giugno 1997 ed il 24 giugno 1998.
In particolare, ad avviso della ricorrente, l’elemento direttamente riconducibile alla sfera cognitiva della banca è rappresentato dal fatto che quest’ultima aveva chiesto le situazioni patrimoniali provvisorie della debitrice, monitorandone l’andamento mediante l’esame della Centrale rischi, ma la motivazione non indica a quando risalirebbero le situazioni patrimoniali provvisorie prese in esame dalla banca idonee a rappresentare lo stato di dissesto, nè quali dati desumibili dalla Centrale Rischi fossero idonei a rappresentare l’insolvenza della debitrice. Anche avuto riguardo alla consistente perdita di esercizio risalente all’anno 1997, per la banca tale dato sarebbe stato apprezzabile solo con il deposito del bilancio di esercizio chiuso al 31.12.1997.
Il motivo è stato ritenuto fondato.
Per la Corte, il consolidato indirizzo che qualifica le singole rimesse revocabili come autonomi fatti costitutivi del diritto, implica che costituisca onere della curatela attrice indicare con esattezza la data a partire dalla quale può ritenersi sussistente la scientia decoctionis in capo alla convenuta.
Tale data può infatti essere anteriore al c.d. periodo sospetto (anno anteriore alla sentenza di fallimento), ed in tal caso l’accertamento della sua sussistenza coprirà tutte le rimesse aventi natura solutoria comprese in tale periodo; la prova della scientia decoctionis peraltro, potrà ritenersi acquisita sulla base di elementi presuntivi dotati di sufficiente gravità ed univocità in relazione alla percezione dell’insolvenza da parte del convenuto in revocatoria, in data successiva rispetto all’anno anteriore: in tal caso, evidentemente, solo le rimesse successive a tale data potranno essere oggetto della domanda.
Non è dunque venuta in rilievo la valutazione in ordine alla sussistenza della scientia decoctionis in capo alla banca, accertata da entrambi i giudici di merito, con adeguato apprezzamento di merito, che non risulta censurato dalla ricorrente.
La Corte territoriale aveva però omesso di determinare con precisione la data a partire dalla quale detta consapevolezza potesse ritenersi sussistente, posto che – per la Corte – tale accertamento, necessario al fine di individuare le singole rimesse revocabili, non può implicitamente desumersi, per relationem, dagli indici ed elementi presuntivi indicati nella sentenza impugnata.
Non risultava dalle sentenze, infatti, a quale data risalisse l’esame della situazione patrimoniale idonea a rappresentare il dissesto della debitrice o gli elementi, tratti dalla consultazione della Centrale rischi, da cui desumere la irreversibilità della sua situazione economico finanziaria.
Del pari, per la Corte, il fondamentale elemento valorizzato nella sentenza impugnata, vale a dire la consistente perdita di esercizio della debitrice risalente al 1997, in assenza di specifica allegazione e prova che tale perdita di esercizio era stata rilevata e presa in esame dalla banca in epoca anteriore, attraverso periodico esame della situazione patrimoniale della debitrice, risultava apprezzabile solo con il deposito del bilancio, vale a dire, nei primi mesi del 1998.
In assenza della precisa individuazione della data in cui, sulla base di indici gravi, precisi e concordanti, potesse ritenersi raggiunta la effettiva conoscenza in capo alla banca convenuta della situazione di dissesto della debitrice, la statuizione che aveva dichiarato inefficaci tutte le rimesse solutorie eseguite sul conto corrente di riferimento nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento non è stata dunque giudicata corretta.
Per queste ragioni il ricorso è stato accolto e la questione rimessa al altra sezione della Corte d’Appello di Perugia.