Per Tribunale di Bolzano Sez. I, Sent., 08-11-2019, Giudice unico dott.ssa Cristina Longhi, causa civile di I grado iscritta al n. R.G. 1734/2018, se la banca non ha stipulato un mandato all’incasso con annessa clausola di compensazione nel rapporto di anticipazione di credito, le rimesse effettuate in pagamento da terzi debitori della cliente correntista dopo la domanda di concordato preventivo di quest’ultima vanno restituite alla stessa e non possono essere trattenute.
Il fatto
Una società in concordato preventivo conveniva in giudizio la Cassa di Risparmio di Bolzano chiedendone la condanna alla restituzione dell’importo di Euro 166.417,44 quale somma che la banca avrebbe indebitamente trattenuto dalla data di deposito del ricorso per concordato. In particolare, la società duceva di aver intrattenuto con la banca convenuta un rapporto di conto corrente ordinario con annesse aperture di credito ed eccepiva che, a far data dal 21.09.2015 – data di pubblicazione presso il Registro delle Imprese del deposito della domanda di ammissione al concordato preventivo – l’istituto di credito avrebbe incamerato sul predetto conto corrente numerosi pagamenti da parte di terzi debitori, che sarebbero stati indebitamente trattenuti. Il carattere indebito dell’incameramento, per la società, derivava dal principio di cristalizzazione degli effetti della domanda concorsuale per i creditori sancito per il concordato dall’art. 168 L.F. che stabilisce il divieto di avviare iniziative volte a soddisfare le proprie pretese. La società chiedeva, pertanto, la restituzione di tutti gli accrediti avvenuti sul conto corrente da quella data in avanti.
La banca si costituiva in giudizio eccependo l’infondatezza dell’azione avversaria, poiché fra le parti sarebbe stato pattuito un mandato all’incasso in rem propriam inserito nel contratto di affidamento per anticipi di portafoglio, con conseguente operatività della compensazione ex art. 56 l.fall.. In particolare, per la banca tale mandato era ancora vigente poiché la società non aveva richiesto nel ricorso per concordato lo scioglimento dal contratto ai sensi dell’art. 169bis L.F., come sarebbe stato nelle sue facoltà.
La sentenza
Il Tribunale di Bolzano prende le mosse dalla distinzione, nell’ambito dei contratti di finanziamento per anticipi sul portafoglio commerciale, tra anticipazione con cessione del credito notificata al debitore e linee di credito autoliquidanti.
Queste ultime si caratterizzano per l’anticipo effettuato dalla banca, entro un determinato plafond, di crediti commerciali a fronte della presentazione di idonea documentazione da parte del soggetto richiedente, con rimborso dell’anticipazione in un secondo momento attraverso l’incasso diretto dalla banca. Tale fattispecie si distingue nettamente dalla cessione di credito, la quale, in virtù dei suoi effetti traslativi immediati, non può giudicarsi rapporto “pendente” soggetto alla facoltà di scioglimento nel corso del concodato ex art. 169 bis L.F.
Tra le linee di credito autoliquidanti si distinguono poi le linee di credito con semplice mandato all’incasso (c.d. mandato in rem propriam, ossia conferito anche nell’interesse del mandatario) e le linee di credito con annesso patto di compensazione.
Nel caso preso in esame dal tribunale altoatesino, era pacifica la sussistenza di un negozio di finanziamento complesso, rappresentato dall’anticipazione di denaro con mandato in rem propriam conferito alla banca per incassare i crediti dai terzi, come riconosciuto dallo stesso istituto di credito convenuto (cfr. comparsa di costituzione, pag. 6: “Nei rapporti per cui è causa, inoltre, la società in concordato attribuiva all’odierna comparente mandato all’incasso in rem propriam”).
A tale mandato, però, non si accompagnava un c.d. patto di annotazione ed elisione nel conto delle partite di segno opposto (ossia, secondo la terminologia in uso nella prassi bancaria, un patto di compensazione). Pertanto, la banca non aveva il diritto di incamerare le somme riscosse e di porle a compensazione del proprio credito derivante dall’anticipazione finanzairia in favore della correntista in procedura.
Come insegnato dalla Suprema Corte, da un lato vi è il caso del conferimento alla banca di un semplice mandato all’incasso in rem propriam, in presenza del quale la pendenza del rapporto obbliga la banca mandataria a darvi esecuzione con la riscossione dei crediti affidati, salvo rimetterne le relative somme al mandante in procedura senza poter operare la compensazione, ai sensi del combinato disposto degli artt. 169 e 56 L.F., per soggezione al principio della concorsualità e anche in applicazione del principio posto dall’art. 168 L.F. Dall’altro lato vi è la diversa ipotesi in cui il rapporto sia invece assistito da una clausola attributiva del diritto di “incamerare” le somme riscosse in favore della banca (c.d. “patto di compensazione”), che legittima la banca a compensare il debito di restituzione al cliente delle somme riscosse con il proprio credito verso lo stesso, conseguente ad operazioni regolate nel medesimo conto corrente.
Laddove il rapporto in essere tra le parti prosegua nel corso della procedura, esso prosegue infatti nella sua interezza, comprensiva di tutte le clausole pattizie che lo regolano, e quindi, in ipotesi, anche della clausola attributiva del diritto in capo alla banca di incamerare le somme riscosse per conto del correntista, operando la compensazione.
Nel caso esaminato dal Tribunale altoatesino, né dalle allegazioni della convenuta, né dall’esame della documentazione in atti (cfr. documentazione bancaria sub docc. 3 e 5 della convenuta) emergeva però che si fosse mai stato validamente concluso fra le parti un patto di compensazione in tal senso.
Dalla lettura del contratto di apertura di credito per affidamento portafoglio clienti (doc. 5 di parte convenuta) non risultava infatti alcuna pattuizione che consentisse di operare la compensazione tra le somme anticipate dall’istituto di credito e quelle accreditate sul conto corrente per effetto del pagamento eseguito da terzi debitori della correntista. La clausola riportata all’art. 11, in particolare, non poteva essere letta nel senso di attribuire siffatta facoltà alla banca, poiché essa, limitandosi a riportare il contenuto della norma codicistica di cui all’art.1853 c.c., si riferiva all’ipotesi della compensazione tra più rapporti diversi esistenti tra le parti, presupponendo la sussistenza di più conti correnti in essere tra le medesime parti.
Nell’ipotesi di mero mandato all’incasso in rem propriam, quale era quindi quello oggetto del caso di specie, non erano pertanto compensabili i crediti vantati dalla banca mandataria all’incasso verso il debitore concordatario con le somme riscosse dopo il deposito della domanda di concordato (cfr. mutatis mutandis Cass. 19.02.2016 n. 3336: “In tema di anticipazione su ricevute bancarie regolata in conto corrente, qualora le operazioni siano compiute anteriormente all’ammissione del correntista alla procedura di amministrazione controllata, occorre accertare, nel caso in cui il fallimento (successivamente dichiarato) del medesimo agisca per la restituzione dell’importo delle ricevute incassate dalla banca, se la convenzione relativa a quella anticipazione contenga una clausola attributiva del diritto di “incamerare” le somme riscosse in favore della banca stessa (cd. patto di compensazione o di annotazione ed elisione nel conto di partite di segno opposto), atteso che solo in tale ipotesi quest’ultima ha diritto a compensare il suo debito per il versamento al cliente delle somme riscosse con il proprio credito in dipendenza di operazioni regolate nel medesimo conto corrente senza che rilevi l’anteriorità del credito e la posteriorità del debito rispetto all’ammissione alla procedura concorsuale, non operando, in tale evenienza, il principio della “cristallizzazione dei crediti”“).
Per questo il Tribunale ha ritenuto che le somme accreditate sul conto corrente intestato all’attrice in epoca successiva alla pubblicazione della domanda di ammissione al concordato preventivo sul Registro delle Imprese in data 21/09/2015 andassero restituite.