Il pegno irregolare si differenzia da quello regolare in quanto le somme di danaro o i titoli depositati dal cliente presso la banca diventano di proprietà di quest’ultima. In caso di inadempimento del cliente debitore, la banca avrà diritto di trattenere definitivamente quanto depositato, restituendo al limite solo l’eventuale eccedenza depositata in più rispetto all’ammontare del debito garantito. Nel pegno regolare, invece, la banca non acquisisce alcuna titolarità sulle somme o i titoli del cliente, ma solo il diritto di soddisfarsi sugli stessi.

La differenza è di enorme importanza in caso di fallimento del cliente debitore. L’incameramento definitivo delle somme nel pegno irregolare è infatti ritenuto esente da revocatoria, in quanto oggetto di compensazione automatica coperta dall’art. 56 l.fall. fra l’obbligo di pagamento del cliente e quello di restituzione di altrettante somme o titoli equivalenti da parte della banca nell’ipotesi di adempimento regolare del cliente. La costituzione e l’escussione del pegno regolare, invece, se poste in essere nel periodo sospetto, costituirebbero in astratto atti revocabili (cfr. Cass. civ. Sez. I, 08/08/2016, n. 16618).

Nella pratica dei rapporti bancari, la distinzione assume particolare rilievo nelle ipotesi in cui la banca incameri la giacenza del conto corrente intestato al debitore fallito in forza di clausole che stanno a metà strada fra il pegno irregolare e quello regolare. Laddove la clausola posta dalla banca sia ritenuta costituente un pegno regolare, la banca garantita non acquisirà automaticamente la somma portata dal saldo, né avrà l’obbligo di restituire al debitore il tantundem, così che, difettando i presupposti per la compensazione ex art. 56 l.fall. (perché la banca non assume a sua volta obbligazioni di rimborso), l’incameramento della somma conseguente all’escussione del pegno viene fatta solitamente rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 67 l.fall. e ritenuta assoggettabile a revocatoria fallimentare (Cass. civ. Sez. I, 08/08/2016, n. 16618).

Quindi, mentre nel pegno irregolare, ove viene trasferita al creditore la titolarità del bene con l’obbligo di restituzione per equivalente, la revocatoria può colpire solo la costituzione del pegno e non la sua escussione mediante ritenzione e compensazione con l’obbligo di restituzione per equivalente (cfr. Cass., sez. I, 10 novembre 2008, n. 26898), nel pegno regolare l’incasso del controvalore del pegno integra un atto estintivo revocabile (Cass. civ. Sez. I, 08/08/2016, n. 16618). Più in generale, va distinto il diritto reale di garanzia dalla sua materiale escussione. Se l’irrevocabilità dell’atto di costituzione del diritto determina il consolidamento di una causa legittima di prelazione, che può essere fatta valere solo in sede di insinuazione al passivo nel concorso con gli altri creditori (eventualmente con la particolare autorizzazione all’escussione in corso di procedura ex art. 53 l.fall. – oggi art. 152 d.lgs. n. 14/2019 – che pur sempre costituisce un’ipotesi di concorso), la titolarità del diritto di pegno comunque non consente al creditore prelazionario di soddisfarsi sul bene in violazione della par condicio creditorum. Una cosa, infatti, è l’irrevocabilità della garanzia, altra è la pretesa di escuterla direttamente pur in presenza della c.d. scientia decotionis al di fuori delle regole del concorso.