La compensazione nel fallimento è ammessa anche quando il controcredito del debitore del fallito divenga liquido ed esigibile dopo il fallimento, purché il fatto genetico della obbligazione sia anteriore alla relativa dichiarazione, mentre è irrilevante che la sentenza di accertamento del controcredito intervenga successivamente alla stessa dichiarazione di fallimento.
Lo ha sostenuto Cassazione civile sez. I, 30/12/2021, n. 42008 in un caso in cui il Tribunale di Milano e poi la Corte d’appello, in parziale accoglimento delle domande revocatorie proposte da una curatela fallimentare contro la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. dichiararono inefficaci nei confronti della procedura le rimesse, pari a Euro 332.889,08, affluite sul conto corrente della società poi fallita.
In causa si dsicuteva della validità ed opponibilità alla massa del c.d. patto di compensazione inserito nei moduli contrattuali della banca.
La banca ricorrente, dopo avere riprodotto il contenuto del patto di compensazione inserito della convenzione relativa all’anticipazione su ricevute da essa stipulata, ha sostenuto che la giurisprudenza di legittimità sarebbe costante nell’affermare il principio secondo cui, in tema di anticipazione di ricevute bancarie regolata in conto corrente, se le relative operazioni siano compiute prima dell’ammissione del imprenditore correntista a procedura concorsuale (amministrazione controllata; concordato preventivo) è necessario accertare, qualora il curatore del fallimento del correntista agisca per la restituzione dell’importo delle ricevute incassate dalla banca, se la convenzione relativa alla anticipazione su ricevute regolata in conto corrente contenga una clausola attributiva alla banca del diritto di incamerare le somme da lei riscosse: in presenza di tale patto di compensazione la banca avrebbe diritto di compensare il proprio debito per il versamento al cliente del danaro riscosso con il proprio credito verso lo stesso cliente, a nulla rilevando che tale credito sia anteriore all’apertura della procedura concorsuale e il correlativo debito, invece, posteriore, non operando in tale ipotesi il principio della cristallizzazione dei crediti.
Secondo la ricorrente, il giudice di appello aveva omesso di spiegare per quale ragione tale orientamento giurisprudenziale di legittimità non troverebbe applicazione nel caso di specie.
Inoltre, la ricorrente ha evidenziato che la sentenza impugnata ha affermato che nel caso di specie ricorrerebbe la figura del mandato all’incasso cui, però, accede patto di compensazione.
Per la banca, il mandato conferito dal correntista alla banca nell’ambito di rapporto di anticipazione salvo buon fine sarebbe conferito anche nell’interesse del mandatario e costituirebbe, dunque, tipico caso di mandato in rem propriam che non si estingue per sopravvenuta incapacità (nella specie, costituita dal fallimento) del mandante (art. 1723 c.c., comma 2) e neppure si scioglie in caso di fallimento di questi (L.Fall., art. 78 dispone che solo il fallimento del mandatario determina lo scioglimento del contratto di mandato); con la conseguenza della perdurante efficacia, dopo il fallimento del mandante, del patto di compensazione in discorso.
La sentenza impugnata è stata infine criticata anche nella parte in cui ha escluso la verificazione della compensazione di cui alla L.Fall., art. 56, avendo la ricorrente dedotto che essa anticipò il danaro incorporato nelle ricevute bancarie nei momenti (anteriori al fallimento) in cui gli effetti vennero presentati, assumendo contestualmente l’obbligo di curarne l’incasso: il fatto genetico da cui derivarono gli accrediti (incasso delle ricevute bancarie anticipate al salvo buon fine prima del fallimento), materialmente pervenuti dopo la dichiarazione di fallimento, sarebbe stato costituito dalle operazioni di anticipazione, tutte collocate prima della dichiarazione di fallimento.
Gli accrediti determinati dagli incassi “rappresentano, invece, esclusivamente l’adempimento di un’obbligazione pregressa, giunta a scadenza e, quindi, divenuta esigibile dopo la dichiarazione di fallimento”.
Per la Suprema Corte era incontroverso che fra la Banca e la società, fra cui intercorreva rapporto di conto corrente bancario, venne stipulato, prima del fallimento di tale società, un contratto di anticipazione di credito su ricevute regolato in conto corrente contenente clausola (art. 3) attributiva alla banca del diritto di “annotare in conto e comunque compensare – a soddisfazione del proprio credito per le anticipazioni erogate al cliente – le somme da essa incassate in esecuzione delle suddette operazioni di anticipazione” (c.d. patto di compensazione o di annotazione ed elisione nel conto di partite di segno opposto).
Incontroversi anche i seguenti fatti: le anticipazioni di danaro dalla banca alla società, previa presentazione da parte di questa di ricevute bancarie per il relativo incasso, avvennero tutte prima della dichiarazione di fallimento; il danaro proveniente dai clienti debitori della società fallita, oggetto delle anticipazioni fatte dalla banca, venne dalla banca incassato, accreditato sul conto corrente della cliente anticipataria dopo la dichiarazione del suo fallimento e trattenuto in applicazione del citato patto di compensazione.
Per la Corte, in generale va ribadito che la compensazione nel fallimento (L.Fall., art. 56), costituente deroga al concorso, a favore dei soggetti che siano allo stesso tempo creditori e debitori del fallito, “e’ ammessa anche quando il controcredito del fallito divenga liquido od esigibile dopo il fallimento, purché il fatto genetico dell’obbligazione sia anteriore alla dichiarazione di fallimento, con la conseguenza che è sufficiente che i requisiti di cui all’art. 1243 c.c. ricorrano da ambedue i lati e sussistano al momento della pronuncia” (giurisprudenza costante; cfr., comunque, fra le altre: Cass. S.U., n. 755 del 1999; Cass. S.U., n. 775 del 1999; Cass., n. 10025 del 2010; Cass., n. 18915 del 2010; Cass., n. 21784 del 2015).
Il medesimo principio (rilevanza del fatto generatore delle reciproche obbligazioni pecuniarie dal lato passivo e irrilevanza del momento in cui il debito del terzo verso il fallito divenga esigibile) è stato affermato anche in materia di concordato preventivo alla luce del rinvio formale recettizio alla disciplina di cui alla L.Fall., art. 56 operato dal successivo art. 169, comma 1 stessa legge (in questo senso, cfr.: Cass., n. 825 del 2015; Cass., n. 24046 del 2015; Cass., n. 10091 del 2019).
Orbene, nel contratto di affidamento per anticipi su crediti intercorso fra una banca e un proprio cliente – contenente una clausola di compensazione del tipo di quella sopra menzionata, attributiva alla banca del diritto di “incamerare” il danaro da lei riscosso dai debitori del cliente (per tale, necessaria, precisazione, cfr., fra le molte: Cass., n. 7194 del 1997; Cass., n. 2539 del 1998; Cass. n. 8752 del 2011; Cass., n. 17999 del 2011; Cass. 3336 del 2016) – l’istituto di credito, dopo aver messo a disposizione del cliente, in via anticipata, il danaro pari ai crediti da costui vantati verso terzi e documentati da fatture o ricevute bancarie, provvede alla loro riscossione in forza del mandato in rem propriam a lei conferito contestualmente alla stipula del contratto; come del resto evidenziato dalla stessa sentenza impugnata.
In tale contratto, con mandato all’incasso e patto di compensazione, la banca, con l’erogazione al cliente del danaro incorporato nel documento (fattura o ricevuta bancaria) a lei presentato, adempie alla propria obbligazione e il mandato in rem propriam a lei conferito dal cliente è esclusivamente finalizzato a realizzare la funzione di garanzia, a copertura della somma anticipata dalla banca; sì che la successiva attività di incasso della banca, attiene a ben vedere soltanto alla modalità di satisfazione del proprio credito.
La banca ha senz’altro un proprio interesse a incassare presso il terzo il credito del cliente se intende soddisfare, a sua volta, il proprio credito, ma non ha un obbligo giuridico (di risultato) in tal senso; sì che, in caso di mancato incasso del credito, l’unica conseguenza è la mancata riduzione (o eventualmente estinzione) dell’esposizione debitoria in conto corrente del cliente: costui, a sua volta, ha un evidente interesse a che la banca incassi il credito presso il terzo (per ridurre o estinguere il proprio debito), ma il mancato incasso della banca, conseguente ai mancato pagamento del terzo, non determina la propria liberazione dal debito sorto per effetto dell’anticipazione.
La presentazione alla banca, da parte del cliente, delle fatture o ricevute bancarie indicate dal contratto di mandato comporta, per la banca, l’obbligo di versare al cliente il danaro incorporato in tali documenti a titolo di finanziamento e quello, contestualmente sorto, di curare, anche nell’interesse del cliente medesimo, l’incasso della stessa somma di danaro da parte del terzo debitore (sulla base del documento) del cliente in esecuzione del mandato da questi dato all’istituto di credito.
L’obbligo del cliente di restituire alla banca la somma di danaro a lui anticipata, nel termine e con le modalità previsti dal contratto, sorge per effetto della anticipazione a lui fatta dalla banca del danaro incorporato in tali documenti e non ha, come detto, quale suo presupposto, l’adempimento da parte della banca all’obbligo di curare l’incasso da parte del terzo debitore del cliente della stessa somma di danaro a questi anticipato.
In buona sostanza, le due obbligazioni (quella del cliente e quella della banca) hanno il medesimo fatto genetico, costituito dalla anticipazione fatta dalla banca del danaro incorporato nei documenti a lei presentati dal cliente, rappresentativi di crediti di quest’ultimo verso altri soggetti.
L’incasso da parte della banca, anche nell’interesse del cliente, del danaro incorporato in tali documenti costituisce dunque adempimento di un’obbligazione già sorta e determina solo esigibilità da parte del cliente del relativo credito verso la banca.
Nel caso in cui, ricorrente nella specie, le operazioni di anticipazione di danaro, dietro presentazione di ricevute bancarie in esecuzione del contratto in discorso, siano avvenute prima della dichiarazione del fallimento della società e dopo tale evento la banca abbia riscosso i crediti di cui a dette ricevute bancarie, sussistono i presupposti richiesti dalla L.Fall., art. 56 per la compensazione, per effetto della perdurante efficacia della clausola di compensazione in discorso, fra i reciproci debiti restitutori, della correntista e della banca, essendo quello di quest’ultima divenuto solo esigibile (da parte della curatela del fallimento) dopo la dichiarazione di fallimento di tale creditore.