E’ da un po’ che se ne parlava: se le riserve auree della Banca d’Italia fossero a disposizione del Governo, si potrebbero monetizzare per ripianare parte del debito pubblico o per dare copertura a manovre finanziarie. Il Governo in carica ne sta, in particolare, parlando per neutralizzare le clausole di salvaguardia sull’IVA ed evitare un brusco aumento dell’aliquota l’anno prossimo.

Ma con le riserve auree è meglio andarci piano.

Le riserve auree hanno infatti la funzione di rafforzare la fiducia nella stabilità del sistema finanziario italiano e della moneta unica. Questa funzione diviene più importante quando le condizioni geopolitiche o la congiuntura economica internazionale possono generare rischi aggiuntivi per i mercati finanziari (ad esempio, crisi valutarie o finanziarie).

L’ordinamento assegna la proprietà delle riserve auree alla Banca d’Italia; in base all’art. 127 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (ex art. 105 del TCE), esse costituiscono parte integrante delle riserve dell’Eurosistema, congiuntamente alle riserve delle altre BCN e a quelle di proprietà della BCE. Una quota delle riserve in valuta della BCE, conferite all’avvio della terza fase dell’Unione economica e monetaria da ogni BCN in ragione della “chiave capitale”, è gestita dalla Banca d’Italia sulla base di linee guida fissate dal Consiglio Direttivo della BCE.

La Banca d’Italia è il quarto detentore di riserve auree al mondo, dopo la Federal Reserve statunitense, la Bundesbank tedesca e il Fondo monetario internazionale. Il quantitativo totale di oro di proprietà dell’Istituto, a seguito del conferimento alla BCE di 141 tonnellate, è pari a 2.452 tonnellate (metriche), costituito prevalentemente da lingotti (95.493) e per una parte minore da monete. Secondo le regole contabili adottate a livello Eurosistema, l’oro è valutato ai prezzi di mercato di fine esercizio; ad esempio, al 31 dicembre 2016 il controvalore del quantitativo di oro di proprietà dell’Istituto era pari a circa 87 miliardi di euro.

Le riserve auree sono parte integrante delle riserve valutarie ufficiali del Paese e rappresentano un presidio di sicurezza per lo svolgimento delle funzioni pubbliche attribuite alla Banca d’Italia.

L’oro non è soggetto al rischio di solvibilità in quanto non è “emesso” da alcuna autorità (ad esempio, governo o banca centrale). Inoltre, l’oro presenta una serie di caratteristiche che lo contraddistinguono da gran parte dei metalli presenti in natura. Allo stato puro è quasi del tutto incorruttibile, non arrugginisce e non si ossida, è facilmente trasportabile e conservabile ed è agevolmente lavorabile grazie alla sua elevata duttilità. Queste peculiari caratteristiche, sommate alla scarsità in natura, hanno reso storicamente l’oro uno strumento efficace per misurare il valore dei beni e come mezzo di pagamento.

Alla luce delle sue caratteristiche e delle sue funzioni specifiche, l’oro può essere utilizzato dalle banche centrali per diversi motivi: l’acquisto o la vendita dell’oro possono essere effettuati sia per scopi finanziari, sia per variare il livello delle riserve; l’oro può essere poi dato in deposito per ricavare un reddito e infine può essere utilizzato come garanzia per ottenere dei prestiti sul mercato.

Il quantitativo d’oro di proprietà dell’Istituto è frutto di una serie di eventi avvenuti negli oltre 120 anni di storia della Banca. Nel 1893, la fusione dei tre istituti di emissione (la Banca Nazionale del Regno d’Italia, la Banca Nazionale Toscana, la Banca Toscana di Credito) diede vita alla Banca d’Italia con una propria dotazione aurea iniziale. La riserva aurea aumentò negli anni fino all’avvio della seconda guerra mondiale, per poi raggiungere il suo minimo alla fine del conflitto, anche a seguito dell’asportazione di una parte di esso ad opera delle truppe di occupazione.

Nel dopoguerra, l’Italia divenne un paese esportatore e per tale motivo beneficiò di cospicui afflussi di valuta estera, soprattutto in dollari, che vennero utilizzati anche per convertirli in oro. Un caso di utilizzo dell’oro è avvenuto nel 1976 quando fu dato a garanzia di un prestito ricevuto dalla Bundesbank. Alla fine degli anni 90, a seguito dell’acquisto dell’oro residuo di disponibilità dell’Ufficio Italiano Cambi e al conferimento di una parte delle riserve alla BCE in occasione dell’avvio dell’Unione economica e monetaria, la riserva aurea si attestò alle attuali 2.452 tonnellate.

L’oro dell’Istituto è custodito prevalentemente nei caveau della Banca d’Italia e in parte presso alcune banche centrali. Tale scelta deriva, oltre che da ragioni storiche, legate ai luoghi in cui l’oro fu acquistato, anche da una strategia di diversificazione finalizzata alla minimizzazione dei rischi e dei costi. Infatti, un quantitativo delle riserve viene custodito in prossimità delle principali piazze dove viene negoziato l’oro al fine di avere la possibilità, in caso di necessità, di poter vendere rapidamente e di minimizzare i costi legati al trasporto del metallo. Al momento, l’attuale allocazione geografica delle riserve risulta adeguata e, pertanto, non sono previste ricollocazioni di oro.