Il dibattito sul processo di revisione del MES è inquinato da un equivoco di fondo: la falsa premessa che i creditori possano essere dotati di nuovi strumenti per danneggiare uno stato. Non è così.

Un dibattito falsato

Il dibattito sul processo di revisione del Meccanismo europeo di stabilità è inquinato da una mistificazione di fondo. Da più parti si sostiene infatti che, attraverso quelle che si chiamano clausole di azione collettiva (CACs), i creditori potrebbero, da soli, imporre ad uno stato la ristrutturazione del proprio debito pubblico.

Una imposizione che i sovranisti ritengono naturalmente inaccettabile (ma se si trattasse di questo la penserebbero allo stesso modo anche gli europeisti).

Ci si scorda, o non si sa o non si capisce, che alla base di ogni processo di ristrutturazione del debito ci sta anzitutto l’iniziativa del debitore. In questo caso lo stato.

Sulle CACs il punto di vista va proprio rovesciato, perché, come l’impianto del MES nel suo complesso, sono state introdotte per agevolare uno stato in difficoltà, non per danneggiralo.

Il punto della questione

Uno stato in difficoltà potrebbe essere costretto a rinviare i termini di rimborso del proprio debito pubblico o a ridurre l’ammontare degli interessi promessi o, in casi estremi, a tagliare addirittura la quota di capitale presa in prestito. Per attenuare le conseguenze negatitive sui mercati di simili rimedi ed evitare un lungo strascico di liti giudiziarie, costosi arbitrati internazionali, condanne e ritorsioni politiche, lo stato necessiterà di una composizione con i propri creditori. Creditori dei quali solo alcuni potrebbero accettare nuove condizioni, mentre altri potrebbero opporsi fermamente ostacolando, così, una ristrutturazione ordinata del debito sovrano.

Per ridurre l’impatto della crisi e agevolare l’intervento di programmi di assistenza da parte di stati o enti terzi (FMI, Ue, MES), potrebbero essere utili delle norme contrattuali inserite tra le condizioni delle emissioni obbligazionarie, che permettano di ristrutturare il debito con l’accordo di una maggioranza qualificata di creditori (generalmente fissata in 2/3 o nel 75 per cento), senza dover ottenere l’unanimità dei detentori di titoli.

In presenza di una clausola di azione collettiva, infatti, le modifiche accettate dalla maggioranza diventerebbero vincolanti anche per i creditori dissenzienti.

Tali clausole, agevolando una ristrutturazione ordinata del debito, contribuirebbero inoltre a limitare le speculazioni che scommettono al ribasso sulla probabilità di un default disordinato.

Per dire, ci si chiede ad esempio se clausole del genere avrebbero potuto agevolare una ristrutturazione meno traumatica del debito argentino ed evitare che le ipotesi di soluzione si impantanassero in un ginepraio di cause in tribunale.

Il punto è che per gli stati non esiste una legge fallimentare che disciplini, attraverso procedure guidate di concordato o di ristrutturazione del debito, la possiblità di negoziare con i propri ceditori nuovi termini di rimborso (riduzione degli interessi, allungamento del piano di ammortamento, dilazioni di pagamento, etc.) e di imporre, a certe condizioni, tali termini anche a eventuali creditori dissenzienti.

A queste esigenze ha inteso dare una risposta l’art. 12 comma 3 del Trattato istitutivo del Meccanismo europeo di stabilità. Conformandosi a questo trattato, lo Stato italiano ha quindi introdotto le CACs nelle emissioni obbligazionarie secondo gli schemi che potete trovare negli Allegati A e B del Decreto del Mef n. 96717, del 7 dicembre 2012.

Le CACs, insomma, esistono dal 2012.

La proposta di modifica

Siccome, in caso di ristrutturazione che riguardi più serie distinte di emissioni, sarà di regola necessaria la maggioranza dei creditori di ciascuna serie, rappresentati in separate assemblee, il piano di ristrutturazione del debito potrebbe risultare compromesso dal raggiungimento della maggioranza in certe assemblee, ma non in altre.

Da tempo, pertanto, si discute dell’opportunità di modificare le CACs, uniformando l’espressione del voto dei creditori in assemblea unica. Le clausole con approvazione a maggioranza unica, in una sola assemblea unitaria, consentirebbero infatti di prendere una decisione contestuale per tutte le serie di un dato titolo, senza la necessità di votare per ogni singola serie emessa.

Con la modifica del tattato del MES in discussione oggi, sarebbero appunto riformate le clausole d’azione collettiva con l’introduzione, a partire dal 1° gennaio 2022, anche delle clausole con approvazione a maggioranza unica (single limb CACs).

E di cosa hanno paura le banche italiane?

Detenendo molti titoli di debito pubblico, temono di essere poste sotto ricatto dal governo di turno quali obbligazionisti costretti a digerire un taglio dei proprio crediti.

Per questo preferirebbero un meccanismo che escludesse a priori la ricattabilità.

Ma per evitare di essere ricattabili, bisogna evitare di imbottirsi di titoli di stato.

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