Con la pronuncia Cass. civ. Sez. I, Sent., 15-06-2020, n. 11524, la Suprema Corte ha fissato alcuni principi importanti con riguardo alla sospensione degli effetti dei contratti di anticipazione bancaria nell’ambito del concordato preventivo.

L’art. 169bis l.fall. consente al debitore che presenti un ricorso per concordato preventivo di richiedere la sospensione (in caso di ricorso con riserva di deposito del piano) o lo scioglimento (in caso deposito del piano) dei contratti pendenti alla data della domanda.

Rispetto ai contratti bancari, la questione non si pone per i contratti per i quali l’istitutuo di credito abbia definitivamente adempiuto alla propria prestazione anteriormente al deposito della domanda di concordato, poiché, in un simile caso, quello che residua è solo un debito (da mutuo o da altro finanziamento) a carico della società istante.

Problemi interpretativi si pongono invece con riguardo a quei contratti per i quali appaia più difficile sostenere se residuino delle obbligazioni a carico della banca, ancorché magari solo accessorie.

E’ il caso delle anticipazioni di credito assistite da castelletto di sconto e da mandato all’incasso anche nell’interesse della banca (c.d. mandato in rem propriam)

Per una simile fattispecie la Corte ha ritenuto che “Non vi è dubbio che con riferimento al contratto-quadro di anticipazione, sul quale poi insistono le singole operazioni di sconto, non sussistano elementi ostativi allo scioglimento del contratto ex art. 169-bis legge fall. atteso che, fino a quando non venga meno il rapporto contrattuale esistente fra le parti, la banca è tenuta ad erogare le anticipazioni su fatture o ricevute bancarie o titoli di credito, a tempo determinato o indeterminato, e fino al tetto massimo convenuto fra le parti. Pertanto, se il fido concesso, nei precisi termini sopra illustrati, non è ancora stato interamente utilizzato, la banca è tenuta (fino al limite pattuito) ad erogare il credito in coincidenza con la presentazione delle fatture (o altri documenti commerciali) e l’obbligazione dello stesso istituto non può quindi ritenersi interamente eseguita, con la conseguenza che tale rapporto è suscettibile di scioglimento”.        

A conclusioni diverse, per la Corte, “deve, invece, addivenirsi con riferimento alle operazioni di anticipazione già eseguite in esecuzione del contratto-quadro in un periodo anteriore all’apertura del concordato preventivo, a fronte delle quali la banca non abbia ancora incassato il credito. In proposito, deve distinguersi l’ipotesi in cui, all’atto dell’anticipazione, il debitore proponente avesse ceduto in garanzia pro solvendo un proprio credito verso terzi, da quella in cui avesse conferito alla banca il mandato all’incasso con annesso patto di compensazione, venendo in considerazione due distinti istituti giuridici soggetti ad una diversa disciplina (seppur in entrambi i casi, come sarà approfondito nel corso delle trattazione, la banca non è tenuta a restituire le somme incassate)”.

“In particolare, la cessione di credito a scopo di garanzia (come detto, pro solvendo), ha un’immediata efficacia traslativa del credito ceduto dal cliente della banca, la quale, essendone divenuta già titolare al momento dell’erogazione dell’anticipazione, potrà disporre come meglio crede e quindi trattenersi le somme che incasserà dal terzo. Ove ricorra tale fattispecie, l’eventuale pattuizione di un patto di compensazione (come nel caso esaminato dal Tribunale di Firenze) è del tutto irrilevante, atteso che il diritto della Banca di incamerare le somme incassate dal terzo non deriva dal patto di compensazione, ma dalla acquisita titolarità, a monte, del credito. Non vi è dubbio che, in caso di anticipazione contro cessione di credito, gli effetti dell’operazione si esauriscono al momento del perfezionamento dell’accordo e non si pone quindi neppure la questione della “pendenza” del singolo contratto di anticipazione bancaria”.

“Nel caso, invece, di anticipazione bancaria con mandato all’incasso e patto di compensazione, non può parimenti ritenersi “pendente” la singola operazione di anticipazione, avendo la banca, con l’erogazione della somma al cliente, già compiutamente eseguito la propria prestazione. Né la previsione a favore della Banca di un mandato all’incasso, con patto di compensazione, consente di ritenere che la banca sia tenuta ad una “prestazione aggiuntiva” che rientri nel sinallagma contrattuale. In realtà, trattandosi di mandato “in rem propriam” esclusivamente finalizzato a realizzare la funzione di garanzia, a copertura della somma anticipata dalla banca, l’attività di incasso della banca, attiene soltanto alla modalità di satisfazione del proprio credito. La banca ha senz’altro un proprio interesse, è “onerata” ad incassare presso il terzo il credito dal cliente, se intende soddisfare, a sua volta, il proprio credito, ma non ha un obbligo giuridico, tanto è vero che, in caso di mancato incasso del credito, l’unica conseguenza è la mancata riduzione (o eventualmente estinzione) dell’esposizione debitoria in conto corrente del cliente: costui, a sua volta, ha un evidente interesse a che la banca incassi il credito presso il terzo (per ridurre o estinguere il proprio debito), ma che, come sopra anticipato, non rientra nel sinallagma contrattuale, non comportando certo il mancato incasso della banca, conseguente ai mancato pagamento del terzo, la propria liberazione dal debito sorto per effetto dell’anticipazione”.

“In ogni caso, anche ove si volesse ritenere che l’attività di incasso dei crediti del cliente verso i terzi rientrasse tra le obbligazioni della banca, si tratterebbe comunque di una prestazione di natura accessoria, non idonea ad incidere sulla nozione di compiuta esecuzione della prestazione a norma della L.Fall., art. 72.”

In proposito, questa Corte già statuito che “Ai fini della l.Fall., art. 72, per stabilire se al momento della dichiarazione di fallimento il contratto non sia stato eseguito da entrambe le parti, occorre avere riguardo alle obbligazioni fondamentali che a ciascuna di esse derivano dal negozio e non anche alle prestazioni accessorie (Cass. n. 3708/1983 non disattesa da sentenze successive e a sua volta conforme a Cass. n. 1007/81; Cass. n. 2336/75; Cass. n. 2248/75; Cass. n. 3422/74). Tale impostazione giuridica è stata, peraltro, recepita dall’art. 97 dell’introducendo Codice della Crisi e dell’Insolvenza, che prevede nella prima parte del comma 1 che “salvo quanto previsto dall’art. 91, comma 2, i contratti ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti nelle prestazioni principali da entrambe le parti alla data del deposito della domanda di accesso al concordato preventivo, proseguono anche durante il concordato”.

“In conclusione, avendo la banca esaurito la propria prestazione (quantomeno principale) con l’effettuazione della anticipazione, ne consegue l‘inapplicabilità della L.Fall., art. 169 bis, alle singole operazioni di anticipazione ancora in corso”.

Si pone, a questo punto la problematica se, indipendentemente dalla possibilità o meno di scioglimento della singola operazione di anticipazione che sia avvenuta precedentemente all’apertura della procedura di concordato preventivo, la banca, una volta incassato il credito del cliente, sia obbligata o meno a restituire le somme al debitore proponente, allorquando esista una pattuizione che consente alla Banca il diritto di ritenere le somme riscosse, ossia il c.d. patto di compensazione o di annotazione ed elisione nel conto delle partite di segno opposto.

Sul punto, va osservato che la Corte ha più volte statuito che “in tema di anticipazione su ricevute bancarie regolata in conto corrente, se le relative operazioni siano compiute in epoca antecedente rispetto all’ammissione del correntista alla procedura di amministrazione controllata, è necessario accertare, qualora il correntista successivamente ammesso al concordato preventivo – agisca per la restituzione dell’importo delle ricevute incassate dalla banca, se la convenzione relativa all’anticipazione su ricevute regolata in conto contenga una clausola attributiva del “diritto di incamerare” le somme riscosse in favore della banca (cd. patto di compensazione o, secondo altra definizione, patto di annotazione ed elisione nel conto di partite di segno opposto); solo in tale ipotesi, difatti, la banca ha diritto a “compensare” il suo debito per il versamento al cliente delle somme riscosse con il proprio credito, verso lo stesso cliente, conseguente ad operazioni regolate nel medesimo conto corrente, a nulla rilevando che detto credito sia anteriore alla ammissione alla procedura concorsuale ed il correlativo debito, invece, posteriore, poichè in siffatta ipotesi non può ritenersi operante il principio della “cristallizzazione dei crediti”, con la conseguenza che nè l’imprenditore durante l’amministrazione controllata, nè gli organi concorsuali – ove alla prima procedura ne sia conseguita altra – hanno diritto a che la banca riversi in loro favore le somme riscosse (anzichè porle in compensazione con il proprio credito)” (Cass. n. 17999 del 01/09/2011; vedi anche Cass. n. 3336/2016; Cass. n. 2539/1998; Cass. n. 1997 n 7194; Cass. n. 4205/01).

Per la pronuncia in commento, “Il patto è essenzialmente interdipendente al negozio di credito connesso al mandato a riscuotere, nel senso che attenendo esso alla regolamentazione delle modalità di satisfazione del credito della banca, in sua carenza l’operazione non sarebbe stata posta in essere, sicchè negozio e patto non possono che rimanere inscindibilmente connessi. In simile prospettiva, però, risulta inammissibile, prima ancora sul piano logico che su quello giuridico, qualsiasi costruzione giuridica incentrata sulla prosecuzione – nel corso di una procedura concorsuale minore – del complesso unitario rapporto di conto corrente bancario, compresa l’obbligazione di dar esecuzione al mandato all’incasso, ma con esclusione del patto (va ribadito, inscindibile rispetto a quel rapporto) della c.d. “compensazione” attraverso il mezzo tecnico della annotazione in conto delle somme riscosse ad elisione delle partite di debito verso la banca”.

“Tale impostazione giuridica – che focalizza l’attenzione sul collegamento negoziale e funzionale esistente tra il contratto di anticipazione ed il mandato all’incasso con patto di compensazione, così rivelando la causa concreta di tutta l’operazione, di talché in assenza del patto in oggetto la stessa operazione non sarebbe mai stata posta in essere – consente di cogliere la ragione per cui, in presenza del patto di compensazione, non può ritenersi operante il principio di “cristallizzazione” dei crediti. Infatti, proprio perchè in virtù del collegamento esistente tra il contratto di anticipazione ed il mandato all’incasso con patto di compensazione, può fondatamente ritenersi che i rispettivi debiti e crediti delle parti traggano origine da un unico, ancorchè complesso, rapporto negoziale, in una tale eventualità, è configurabile la c.d. compensazione impropria, e non quindi la compensazione in senso stretto di cui agli artt. 1241 e ss. c.c., (disciplinata nella procedura fallimentare dalla L.Fall., art. 56) che presuppone l’autonomia dei rapporti cui si riferiscono i contrapposti crediti delle parti”.

“In particolare, in caso di compensazione impropria, la valutazione delle reciproche pretese delle parti comporta soltanto un semplice accertamento contabile di dare ed avere, con elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza, ed a ciò il giudice può procedere senza incontrare ostacolo nelle limitazioni vigenti per la compensazione in senso tecnico giuridico (vedi Cass. n. 30220/2019; Cass. n. 4825/2019). Dunque, ove i rispettivi debiti e crediti delle parti derivino ad un unico rapporto negoziale – ed è proprio il caso della linea di credito c.d. autoliquidante, nella quale la fonte di rimborso dell’erogazione finanziaria della banca è predeterminata, ed è stata pattuita sin dall’inizio dalle parti la canalizzazione del pagamento del terzo a favore dell’istituto di credito – non trova applicazione la L.Fall., art. 56, il quale (come le norme sulla compensazione disciplinata dal codice civile) attribuisce rilevanza al momento in cui i reciproci debiti e crediti delle partì vengono a coesistenza.”

“In conclusione, alla luce di quanto sopra illustrato, l’esistenza del patto con cui è stato attribuito alla banca il diritto di incamerare le somme riscosse all’esito della singola operazione di anticipazione, e l’operatività dell’istituto della c.d. compensazione impropria, consentono alla banca di trattenersi legittimamente le somme riscosse dopo l’apertura del concordato preventivo.”

Per la Corte, va pertanto formulato, a norma dell’art. 363 c.p.c., il seguente principio di diritto:

“La L.Fall., art. 169 bis, che consente al debitore proponente un concordato di chiedere al giudice delegato lo scioglimento dei contratti pendenti, è applicabile al contratto-quadro di anticipazione bancaria contro cessione di credito o mandato all’incasso ed annesso patto di compensazione, fino quando la banca, nell’anticipare al cliente l’importo dei crediti non ancora scaduti vantati da quest’ultimo nei confronti dei terzi, non abbia ancora raggiunto il tetto massimo convenuto tra le parti. La L.Fall., art. 169 bis è inapplicabile alla singola operazione di anticipazione bancaria in conto corrente contro cessione di credito o mandato all’incasso con annesso patto di compensazione, ancora in corso al momento dell’apertura del concordato, avendo la banca, con l’erogazione della anticipazione, già compiutamente eseguito la propria prestazione. Il collegamento negoziale e funzionale esistente tra il contratto di anticipazione bancaria ed il mandato all’incasso con patto di compensazione, che consente alla banca di incamerare e riversare in conto corrente le somme derivanti dall’incasso dei sinaoli crediti del proprio cliente nei confronti di terzi, dando luogo ad un unico rapporto negoziale, determina l’applicazione dell’istituto della c.d. compensazione impropria tra i reciproci debiti e crediti della banca con il cliente e la conseguente inoperatività del principio di “cristallizzazione” dei crediti, rendendo, pertanto, del tutto irrilevante che l’attività di incasso della banca sia svolta in epoca successiva all’apertura della procedura di concordato preventivo”.

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