Per l’omessa vigilanza della Banca d’Italia decide il giudice ordinario. Con la pronuncia di Cass. civ. Sez. Unite, Ord., 16-11-2020, n. 25953, trova conferma la giurisdizione del giudice ordinario, in luogo di quello amministrativo, nelle controversie aventi ad oggetto la resposnabilità di Bnaca d’Italia per omessa vigilanza.

Un socio azionista della Banca Popolare di Vicenza Spa aveva convenuto in giudizio la Banca d’Italia e la Consob chiedendone la condanna, in solido, al risarcimento del danno, ex art. 2043 c.c., che gli sarebbe stato provocato dall’omesso o inadeguato esercizio dell’attività di vigilanza sulla banca popolare veneta.

La pretesa aveva ad oggetto, in particolare, l’insufficiente attività di controllo in relazione sia ad operazioni di investimento finanziario cd. “baciate“, sia ad aumenti di capitale effettuati sulla base di dati alterati; operazioni, queste, oggetto di ispezione e segnalazione già dal 2012, ma fatte oggetto di sanzione solo tardivamente, nel 2016, e solo a seguito di rilievi della Banca Centrale Europea.

In tal modo, ad avviso dell’attore, le Autorità di vigilanza “avrebbero trascurato rilevanti disfunzioni – specificamente, in tema di metodo di determinazione del prezzo delle azioni e di mancata deduzione dal capitale regolamentare dell’importo delle azioni sottoscritte o acquistate mediante forme di assistenza finanziaria fornite dalla stessa BPV – e non sarebbero intervenute in modo da evitare i conseguenti danni a carico degli investitori, in particolare impedendo le operazioni di aumento di capitale effettuate nel 2013 e 2014 mediante la propria attività di vigilanza e l’esercizio dei propri poteri”.

Il pregiudizio patrimoniale sarebbe derivato sia dall’agire dell’intermediario, che avrebbe determinato il deprezzamento delle azioni acquistate dagli investitori a prezzi fuorviati, sia dalla trascuratezza delle Autorità di vigilanza, le quali avrebbero consentito tali operazioni invece di impedirle, come sarebbe stato doveroso fare nel quadro delle competenze derivanti dall’art. 51 Tuf.

Conventa in giudizio, la Banca d’Italia ha proposto regolamento preventivo di giurisdizione, sostenendo che la causa incardinata dinanzi al Tribunale di Vicenza appartenesse alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in quanto afferente “alla vigilanza sul credito”, di cui all’art. 133 cod. proc. amm., comma 1, lett. c), atteso che la causa petendi su cui la pretesa attorea si basa sarebbe la valutazione della congruità e ragionevolezza delle scelte autoritative dell’Autorità di vigilanza, venendo in rilievo il profilo della discrezionalità tecnica che impedirebbe di qualificare il suo agire in termini di adempimento o inadempimento di obblighi.

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione ha invece chiesto di dichiarare la giurisdizione del giudice ordinario.

A scioglimento della questione, le Sezioni Unite hanno richiamano i loro recenti precedenti di quest’anno, a mente dei quali:

“Le controversie relative alle domande proposte da investitori e azionisti nei confronti delle autorità di vigilanza (Banca d’Italia e CONSOB) per i danni conseguenti alla mancata, inadeguata o ritardata vigilanza su banche e intermediari sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, non venendo in rilievo la contestazione di poteri amministrativi, ma di comportamenti “doverosi” posti a tutela del risparmio, che non investono scelte ed atti autoritativi, essendo tali autorità tenute a rispondere delle conseguenze della violazione dei canoni comportamentali della diligenza, prudenza e perizia, nonché delle norme di legge e regolamentari relative al corretto svolgimento dell’attività di vigilanza, quali espressione del principio generale del neminem laedere” (cfr. Cass., Sez. Un., n. 6324, 6325, 6451, 6452, 6453 e 6454 del 2020).

Come osservato anche nella requisitoria del Procuratore Generale, non è risolutiva l’obiezione della Banca d’Italia secondo cui l’attività di vigilanza sarebbe connotata da discrezionalità tecnica, che non consentirebbe di classificare la condotta delle Autorità di vigilanza in termini di inadempimento di obblighi.

La domanda giudiziale dell’attore, infatti, non predicava l’esistenza di obbligazioni contrattuali dell’Autorità ma, come si è detto, la violazione del generale principio del neminem laedere, nell’ambito di un rapporto i cui termini di confronto sono l’omissione di vigilanza e il pregiudizio patrimoniale, al di fuori di una relazione di tipo negoziale.

Per altro verso, secondo le Sezioni Unite:

“Anche nel campo della discrezionalità tecnica, qual è quella esercitata dalle Autorità di vigilanza, l’attività della pubblica amministrazione deve svolgersi nei limiti posti non soltanto dalla legge ma anche dall’art. 2043 c.c. e dal divieto del neminem laedere, sicchè detta discrezionalità non può mai estendersi alla scelta radicale tra l’attivarsi o meno, specie qualora siano emersi gravi indizi di irregolarità, altrimenti si configurerebbe una sorta di inammissibile immunità dalla responsabilità aquiliana in capo agli organismi di vigilanza (vd., da ultimo, Cass. n. 9067 del 2018)”.

Per le Sezioni Unite, una diversa conclusione non potrebbe essere sostenuta valorizzando la veste di azionista dell’attore.

Secondo la lettura proposta dalla Banca d’Italia, il distinguo tra il “risparmiatore-investitore” e il “socio azionista” della banca, della cui omessa vigilanza si tratta, giustificherebbe l’attribuzione della giurisdizione al giudice amministrativo. E ciò in quanto, diversamente dal primo (che le Autorità di vigilanza sarebbero tenute a “tutelare”), il secondo sarebbe soggetto ai poteri pubblicistici e alla potestà delle suddette Autorità, che hanno la facoltà di disporre la sospensione del diritto di voto (t.u.b. n. 385 del 1993, art. 24), la convocazione dei soci e il divieto di distribuzione degli utili (art. 53), la sospensione delle funzioni dell’assemblea dei soci a seguito dell’amministrazione straordinaria (art. 70).

Tuttavia, osserva correttamnete la pronuncia:

“Tale profilo non è idoneo a collocare la controversia nel quadro della giurisdizione amministrativa, per la semplice ragione che nella vicenda in esame quella relazione potestà-soggezione non viene in alcun modo in rilievo, non essendo a tal fine sufficiente l’enunciazione generale secondo cui gli azionisti non sarebbero meri beneficiari della tutela del risparmio ma risulterebbero “coinvolti” negli interventi delle Autorità di vigilanza”.

Invero, i destinatari diretti delle misure (inibitorie, interdittive e di altro genere) adottate dalle autorità di vigilanza non sono gli azionisti, i quali ne sono in realtà i beneficiari, ma le banche e gli intermediari che agiscono tramite i loro organi amministrativi e di controllo (cfr. art. 53 bis, art. 67 ter, art. 108, comma 3, art. 114 quinquies, comma 3, Tub), per cui non è dato cogliere, nella normativa di settore, né in generale sul piano dei principi, una ragione giuridica per cui la veste di azionista di una società esercente il credito dovrebbe prevalere, sempre e comunque, sulla effettività delle operazioni di investimento e intermediazione finanziaria, nonché in generale sull’aspetto inerente la (deficitaria o inadeguata) gestione della banca, la cui correttezza è appunto affidata al controllo e agli interventi – di segnalazione, ispezione, controllo, fino all’adozione di provvedimenti specifici sugli organi sociali ovvero di misure di carattere prescrittivo o interdittivo – dell’organismo pubblico di vigilanza.

Come rilevato dal Procuratore Generale, là dove il pregiudizio lamentato sia rapportato a irregolarità dell’intermediario, suscettibili di controllo da parte delle Autorità di vigilanza, le quali hanno alterato il quadro dell’operazione negoziale conclusa dal soggetto, le cui conseguenze ricadano nel patrimonio del singolo investitore, la doglianza e la pretesa risarcitoria di quest’ultimo verso le Autorità non mettono in gioco l’esercizio degli specifici poteri autoritativi che le medesime Autorità possono svolgere verso i soci. Il distinguo tra investitori, a seconda che essi siano “risparmiatori” per così dire esterni ovvero soci-azionisti, non ha dunque incidenza ai fini della classificazione della pretesa e della qualificazione delle rispettive posizioni delle parti in causa, valendo per entrambe tali situazioni la stessa caratterizzazione della censura in termini di omissione di attività causalmente predicata come elemento produttivo di danno.

Nel giudizio principale sospeso in attesa del regolamento di giurisdizione, la doglianza si riferiva alla violazione, da parte della Banca, di doveri di chiarezza ed esattezza informativa, nel proporre al pubblico degli acquirenti delle azioni, tra cui l’attore, un prospetto informativo alterato perché basato su dati inveritieri, senza che fosse possibile né conforme a diritto operare sub-distinzioni all’interno della platea degli acquirenti, tutti essendo qualificabili come investitori-risparmiatori nel quadro della disciplina di regolazione dell’intermediazione finanziaria, e senza che sia possibile ravvisare, nella mancata attivazione della vigilanza, una qualsiasi correlazione con il profilo del potere esercitabile nei casi, ben determinati, indicati dal Testo unico in materia bancaria.

Per tutte queste ragioni, è stata confermata la giurisdizione del giudice ordinario.