Con la pronuncia Cass. civ. Sez. III, Sent., 22/2/2021, n. 4659, la Suprema Corte pone fine alla possibilità di ravvisare dei derivati, ancorché solo impliciti, nei contratti di leasing indicizzati a un cambio in valuta estera. Nessuna causa mista, ascrivibile anche alle regole del TUF, quindi.

Nel caso di cui si è occupata la Suprema Corte, la Corte di Appello di Trieste aveva confermato la sentenza di primo grado, ritenendo anch’essa che questo genere di clausole snaturi il carattere del contratto di leasing, facendogli acquisire caratteri propri di un contratto derivato, con conseguente applicabilità delle regole di condotta del TUF.

La Corte di Cassazione – investita dal ricorso di Aquileia Capital S.r.l., la società che ha acquisito da Hypo Alpe Adria l’intero pacchetto di leasing indicizzati in valuta estera – ha invece ritenuto che sia “da escludere che la clausola di indicizzazione per cui è causa possa effettivamente assimilarsi al “domestic currency swap”, come del resto già rilevato da una parte della dottrina e della giurisprudenza di merito“.

Invero, “se, dal punto di vista strettamente finanziario, l’accostamento della clausola di indicizzazione al cambio ad uno strumento finanziario derivato (“domestic currency swap”) appare corretto, perplessità, però, sorgono in merito alla qualificazione giuridica in tal senso. Ciò in quanto, nell’ipotesi in cui le parti vogliano effettivamente porre in essere un leasing o un finanziamento per sostenere un’attività del mutuatario denominata in franchi svizzeri (o altra valuta straniera), ove esse non decidano direttamente l’erogazione del finanziamento in tale valuta, bensì in Euro con indicizzazione al cambio Euro/CHF, la clausola in questione si pone quale modalità di attuazione dell’esplicita volontà contrattuale di erogare un finanziamento in Euro indicizzato al franco svizzero e non come un derivato di copertura, presentandosi come una modalità tecnica del contratto di finanziamento che rimane priva di autonomia causale, non rappresentando un contratto autonomo rispetto al finanziamento, bensì solo un meccanismo di adeguamento della prestazione pecuniaria“.

Per la Corte, del resto, del cd. “derivato” manca la caratteristica peculiare, vale a dire la possibilità della sua autonoma circolazione. Non corretta è, dunque, l’assimilazione che la sentenza impugnata stabilisce tra la clausola in esame e lo strumento finanziario del “domestic currency swap“.

A sostegno di tale decisione la Suprema corte richiama “la posizione espressa da una parte della giurisprudenza di merito, secondo cui, nel caso in esame, ‘si è in presenza semplicemente di un contratto di leasing cd. indicizzato‘, in quanto ‘ciascuna rata del contratto di leasing è legata alle variazioni di un parametro finanziario di riferimento scelto dalle parti ed inserito in una specifica clausola contrattuale, detta appunto di indicizzazione’, sicchè tale clausola ‘non ha alcun effetto nè sulla natura, nè sulla causa del leasing, che rimangono, dunque, inalterate posto che con essa le parti hanno inteso unicamente prevedere un meccanismo per ancorare ad un parametro oggettivamente certo, il corrispettivo dovuto’. La clausola, pertanto, ‘non dà vita ad un’operazione dotata di causa autonoma, ovvero sganciata dal contenuto del contratto di leasing finanziario, in quanto, con la citata disposizione, le parti adeguano il valore del corrispettivo per il godimento dei beni strumentali ai valori di mercato, senza costituire una diversa (e comunque non provata) operazione negoziale avente natura di investimento finanziario’ (Trib. Ancona, sent. 20 giugno 2019, n. 1141)“.

Analogamente, conclude la Corte, “si è affermato che la citata clausola ‘non ha causa autonoma, bensì meramente accessoria rispetto al fine perseguito dalle parti, riguardando la sola determinazione del tasso di interesse dell’operazione di finanziamento, indicizzato ad un parametro certo, ma variabile’ (Trib. Milano, sent. 11 maggio 2017, n. 5296)“.