La banca che negozia titoli nel proprio portafoglio emessi da una società fallita poco tempo dopo la negoziazione è responsabile della perdita di valore nei confronti dell’investitore se non prova, ai sensi del comma 6 dell’art. 23 TUF, di “aver agito con la specifica diligenza richiesta”.

E’ quanto sostenuto da Cass. Civile, Sez. 1, ord. n. 10971 del 26/4/2021, che ha disposto il rinvio di una causa alla Corte d’Appello accogliendo il motivo di ricorso fondato sull’assenza della prova liberatoria da parte della banca di aver usato la dovuta diligenza nell’informare il cliente dell’evidente rischio di insolvenza del soggetto emmitente il titolo negoziato.

In particolare, per la Corte, considerato “che la capogruppo Unicredit teneva in portafoglio le azioni della SCI, oggetto di vendita da parte della Banca e che le azioni vendute dalla banca agli odierni ricorrenti appartenevano ad una società che è andata fallita tre mesi dopo tale vendita, risulta che la ‘specifica diligenza’ di cui all’art. 18 comma 5 del d.lgs. n. 415/96 (oggi art. 23 comma 6 TUF) non sia stata rispettata, in quanto l’intermediario, non avrebbe dovuto proporre le azioni di una società indebitata prossima all’insolvenza e di cui la capogruppo deteneva le azioni“.