Cass. civ. Sez. I, Ord., 26-06-2019, n. 17110 ha fatto definitivamente chiarezza sulla possibilità per la banca di stipulare con il cliente un tasso di interesse per la cui esatta determinazione si faccia rinvio ad elementi esterni al contratto, purché pacificamente individuabili.

Il vigente art. 117 t.u.b. prescrive, al comma 3, che “i contratti indicano il tasso d’interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora”. Il comma successivo dispone, poi, che “sono nulle e si considerano non apposte le clausole contrattuali di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse e di ogni altro prezzo e condizione praticati nonchè quelle che prevedono tassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati”.

Dottrina e giurisprudenza di merito hanno mostrato di orientarsi, in via prevalente, nel senso che tale norma non precluda alle parti di identificare per relationem il saggio di interesse (purchè ovviamente i contraenti non facciano riferimento agli usi: ciò che la norma, come si è visto, vieta).

Tale conclusione è oggi condivisa dalla pronuncia in commento.

Per la Corte, “Anzitutto va evidenziato che è lo stesso comma 6 dell’art. 117 t.u.b. a dar ragione, seppure indirettamente, di questa possibilità: nel proibire, infatti, che le clausole facciano rinvio agli usi, la norma implicitamente ammette che una relatio sia possibile; diversamente, il divieto non avrebbe senso logico, finendo per essere ricompreso, e assorbito, in quello, più ampio, di determinare l’interesse e le altre condizioni del contratto attraverso fonti esterne. In secondo luogo, occorre aver riguardo alla ratio della norma, che – pur nella cornice dei valori costituzionali del corretto funzionamento del mercato e dell’uguaglianza non solo formale tra contraenti (artt. 41 e 3 Cost.: cfr. Cass. Sez. U. 12 dicembre 2014, nn. 26242 e 26243 con generale riferimento alle nullità di protezione) – va individuata in una esigenza di salvaguardia del cliente sul piano della trasparenza e della eliminazione delle cosiddette asimmetrie informative: infatti, la prescrizione che fa obbligo di indicare nel contratto “il tasso d’interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati” intende porre quel soggetto nelle condizioni di conoscere e apprezzare con chiarezza i termini economici dei costi, dei servizi e delle remunerazioni che il contratto programma: ed è evidente, allora, che tale finalità possa essere perseguita, con riguardo alla determinazione dell’interesse, non solo attraverso l’indicazione numerica del tasso, ma anche col rinvio a elementi esterni obiettivamente individuabili, la cui materiale identificazione sia cioè suscettibile di attuarsi in modo inequivoco”.

Per la Corte, “Ciò vale, però, ove il richiamo ai detti elementi trovi un reale fondamento giustificativo nella necessità di ancorare il tasso di interesse a indici o parametri di sicura identificazione che non siano determinati dalla banca: in tale ipotesi la finalità di trasparenza che sottende la norma può ritenersi soddisfatta, giacchè non si è in presenza di alcun occultamento delle condizioni economiche contrattuali e la relatio è necessitata proprio dalla volontà di far dipendere l’ammontare dell’interesse da elementi esterni non predeterminabili. In un caso siffatto, oltretutto, va valorizzata la meritevolezza di tutela dello strumento dell’indicizzazione, che consente al cliente della banca di accedere a formule di finanziamento a tasso variabile che altrimenti gli sarebbero precluse. Deve invece negarsi che il rinvio a fonti esterne possa operare allorquando il saggio di interesse sia fatto dipendere dalla determinazione unilaterale dell’istituto di credito, da pubblicizzare con una certa modalità: ipotesi, quest’ultima, in cui il rinvio non ha propriamente ad oggetto l’indice o il parametro attraverso cui va determinato il tasso di interesse contrattuale – come accade, ad esempio, nel caso del mutuo con saggio di interesse parametrato all’euribor -, ma l’elemento documentale con cui la banca verrà a dare rappresentazione esteriore alla propria determinazione”.

Se, in altri termini, l’esigenza di trasparenza sottesa alla norma è compatibile con meccanismi di relatio che consentano alle parti di modulare il rapporto in funzione di termini esterni, indipendenti dalla loro azione e non puntualmente predeterminabili, altrettanto non può dirsi ove venga in questione la mancata esplicitazione, nel corpo del documento contrattuale, del tasso di interesse che la banca abbia intenzione di praticare (e che la stessa dichiari essere desumibile da altri elementi); in questa seconda ipotesi il rinvio urta con la precitata ratio della norma, giacchè rappresenta lo strumento attraverso cui viene celata una condizione economica del rapporto: condizione economica che l’istituto di credito ben avrebbe potuto indicare all’interno del contratto (come impone il comma 4 dell’art. 117 t.u.b.) e riservarsi poi di modificare, nei limiti in cui ciò risultasse giuridicamente possibile, attraverso l’esercizio dello jus variandi di cui all’art. 118 t.u.b..

D’altro canto l’obbligo, da parte della banca, di indicare in contratto un tasso di interesse non già dipendente da fattori ad essa estranei, ma dalla stessa prescelto, è implicitamente desumibile dalle richiamate istruzioni della Banca d’Italia del 1992. Stabilisce, infatti, il cit. art. 1.4 dell’art. 2: “Alcuni degli elementi che concorrono alla determinazione del costo complessivo dell’operazione possono essere omessi dal contratto nel caso in cui dipendano dalla quotazione di titoli o valute ad una data futura ovvero non siano comunque individuabili al momento della stipula del contratto scritto. In tali casi il contratto contiene gli elementi per la determinazione delle suddette componenti di costo” (analoga previsione è contenuta, poi, nelle istruzioni della Banca d’Italia del 2009: sezione III, punto 3). Sulla base di tale previsione, dunque, la possibilità della banca di far rinvio a fonti esterne per definire la misura degli interessi è circoscritta ai casi in cui non sia materialmente possibile definire in cifra esatta il tasso.

Nel caso trattato dalla Corte, è stata cassata la sentenza di appello laddove aveva ritenuto legittima la pattuizione del saggio di interesse attraverso il riferimento a un generico “top rate”. La disposizione contrattuale non conteneve, difatti, alcun rinvio ad elementi esterni, puntualmente e obiettivamente individuabili.

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