Il Federal Open Market Committee (FOMC) della Federal Reserve americana ha annunciato l’approvazione unanimità di rilevanti aggiornamenti della propria politica monetaria. Gli aggiornamenti riflettono i cambiamenti nell’economia dell’ultimo decennio e il modo in cui i responsabili politici stanno tenendo conto di questi cambiamenti nella conduzione della politica monetaria. L’aggiornamento intende anche migliorare la trasparenza, la responsabilità e l’efficacia della politica monetaria.

La modifica della strategia monetaria americana

“L’economia è in continua evoluzione e la strategia del FOMC per raggiungere i suoi obiettivi deve adattarsi alle nuove sfide che si presentano”, ha dichiarato il presidente della Federal Reserve Jerome H. Powell. “La nostra revisione della politica monetaria riflette il nostro apprezzamento per i benefici di un mercato del lavoro forte, in particolare nelle comunità a basso e medio reddito; un mercato del lavoro stabile e robusto può essere sostenuto senza causare un aumento indesiderato dell’inflazione”, ha aggiunto.

La nuova strategia monetaria è declinabile in tre punti:

  • la massima occupazione diviene l’obiettivo principale;
  • dopo periodi in cui l’inflazione è rimasta costantemente al di sotto del 2%, la nuova politica monetaria comporterà probabilmente il raggiungimento di un’inflazione moderatamente superiore al 2% per un certo periodo di tempo;
  • le nuove politiche monetarie riconoscono le sfide per la politica monetaria poste da un contesto di tassi d’interesse costantemente bassi.

In sostanza, la Fed modificherà i parametri di definizione degli obiettivi d’inflazione, al fine di conseguire il superamento della soglia del 2% e cercando di compensare le discese sotto questa soglia.

I limiti della politica monetaria oggi

Dallo scoppio della crisi del 2008 è diventato chiaro che la politica monetaria della banche centrali, da sola, non è sufficiente a conseguire un aumento dell’inflazione e a incentivare il ciclo economico. Le politiche adottate dai governi sono infatti altrettanto importanti nel detemrinare dinamiche sociali di certezza e stabilità che permettano al ciclo economico di svilupparsi. L’incertezza, il senso di precarietà e insicurezza costante frenano, infatti, gli acquisti e determinano una sempre maggiore propensione al risparmio.

La relazione inversa fra disoccupazione e inflazione

Come è noto, esiste una relazione inversa (un trade-off) fra disoccupazione e inflazione. Politiche tendenti a realizzare la massima occupazione comportano, cioè, un aumento dell’inflazione.

Tale realzione è descritta nella curva di Phillips: quando aumenta la disoccupazione il livello dei prezzi scende, quando invece diminuisce, tale livello sale. La teoria nasce da un’osservazione dell’economista neozelandese Alban William Phillips (1914 – 1975) che notò una relazione inversa tra le variazioni dei salari monetari e il livello di disoccupazione nell’economia britannica.

In caso di azioni governative volte a ridurre drasticamente il tasso di disoccupazione (che viene vista in economia come un eccesso di domanda sul mercato del lavoro), quindi, si osserva un aumento dell’inflazione che, va ricordato, ha tra le possibili cause un aumento dei costi di produzione dovuto ad un aumento dei salari. Le azioni del governo volte invece ad abbassare drasticamente il tasso di inflazione pagano lo scotto in termini di occupazione.

Ciò si spiega con il fatto che in caso di livelli bassi di disoccupazione, le imprese fanno maggiore fatica a trovare la forza lavoro di cui necessitano (perché i più sono occupati) e quindi sono disposte ad offrire salari più alti che, però, alla unga possono generare un aumento dei prezzi.