L’eventuale mancato ricevimento, da parte della Curatela, della comunicazione dell’istituto di credito di utilizzazione del diritto di garanzia finanziaria (i c.d. collateral financial arrangements), così come la mancata menzione della garanzia medesima in sede di domanda di insinuazione al passivo, non ha di certo il significato univoco di una rinuncia alla garanzia medesima, specie alla luce delle difese svolte dalla banca convenuta nella presente sede processuale.

Lo ha stabilito il Tribunale Monza, sez. I, sent. 05/07/2021, n. 1349 in un caso in cui una curatela fallimentare aveva evocato in giudizio la Banca di Credito Cooperativo di Milano – Società Cooperativa (già BCC di Carugate e Inzago), per ottenerne la condanna alla restituzione dell’importo di € 29.805,95, corrispondente al saldo attivo sussistente, alla data del fallimento, sul c/c intestato alla fallita e fatto oggetto di escussione compensativa in forza di precedente contratto di pegno, escussione – tra l’altro – mai comunicata formalmente alla curatela.

L’art. 5 del contratto di pegno prevedeva, in particolare, che, “in caso di inadempimento delle obbligazioni garantite, la Banca, senza pregiudizio per qualsiasi altro suo diritto ed azione, con preavviso di tre giorni – o di cinque giorni ove il costituente sia un soggetto diverso dal debitore – ha diritto di utilizzare il saldo, per capitale e interessi, dei rapporti di conto corrente costituiti in pegno ad estinzione o decurtazione delle obbligazioni garantite, come individuate anche ai sensi dell’art. 3, dandone immediata comunicazione al costituente il pegno”.

Prevedeva, cioè, una forma di escussione diretta in autotutela compensativa, con facoltà per la banca di incamerare direttamente le somme. Una figura che per la giurisprudenza può integrare una forma di pegno c.d. irregolare, che esenta il creditore dall’obbligo di insinuarsi al passivo ex art. 53 l.fall. per il soddisfacimento del proprio credito e che gli permette di escutere direttamente e liberamente la garanzia, con esclusione da revocatoria.

Nel caso che ci occupa, al di là della distinzione fra pegno regolare o irregolare, la pronuncia è interessante perché ha ritenuto che l’art. 5 del contratto integrasse una forma di garanzia finanziaria ai sensi del d. lgs. 170/2004, vertendosi comunque in tema di pegno avente ad oggetto denaro accreditato su un conto, ossia un’attività finanziaria ai sensi di detto decreto.

Per giungere a tale conclusione, la pronuncia ha ricordato che per quanto concerne le possibili interferenze della disciplina contrattuale con la normativa concernente le procedure di risanamento ovvero di liquidazione (in quest’ultima categoria rientra il fallimento), l’art. 4 D. Lgs. n. 170/2004 prevede quanto segue: “1. Al verificarsi di un evento determinante l’escussione della garanzia, il creditore pignoratizio ha facoltà, anche in caso di apertura di una procedura di risanamento o di liquidazione, di procedere osservando le formalità previste nel contratto: a) alla vendita delle attività finanziarie oggetto del pegno, trattenendo il corrispettivo a soddisfacimento del proprio credito, fino a concorrenza del valore dell’obbligazione finanziaria garantita; b) all’appropriazione delle attività finanziarie oggetto del pegno, diverse dal contante, fino a concorrenza del valore dell’obbligazione finanziaria garantita, a condizione che tale facoltà sia prevista nel contratto di garanzia finanziaria e che lo stesso ne preveda i criteri di valutazione; c) all’utilizzo del contante oggetto della garanzia per estinguere l’obbligazione finanziaria garantita. 2. Nei casi previsti dal comma 1 il creditore pignoratizio informa immediatamente per iscritto il datore della garanzia stessa o, se del caso, gli organi della procedura di risanamento o di liquidazione in merito alle modalità di escussione adottate e all’importo ricavato e restituisce contestualmente l’eccedenza.”

Mentre, al contrario, l’art. 53 L.F. prevede quanto segue: “I crediti garantiti da pegno o assistiti da privilegio a norma degli articoli 2756 e 2761 del codice civile possono essere realizzati anche durante il fallimento, dopo che sono stati ammessi al passivo con prelazione. Per essere autorizzato alla vendita il creditore fa istanza al giudice delegato, il quale, sentiti il curatore e il comitato dei creditori, stabilisce con decreto il tempo della vendita, determinandone le modalità a norma dell’articolo 107. Il giudice delegato, sentito il comitato dei creditori, se è stato nominato, può anche autorizzare il curatore a riprendere le cose sottoposte a pegno o a privilegio, pagando il creditore, o ad eseguire la vendita nei modi stabiliti dal comma precedente”.

Per la pronuncia si ponevano pertanto due questioni:

a) se l’applicabilità della disciplina di cui al D. Lgs. n. 170/2004 comporti una deroga all’art. 53 L.F.;

b) quali conseguenze abbia, eventualmente, l’omessa immediata informativa per iscritto dell’escussione del pegno da parte del creditore.

L’art. 4 della direttiva a cui il d.lgs. 170/2004 ha dato esecuzione, concernente l’escussione della garanzia, prevede, tra l’altro, che “le modalità di realizzo della garanzia finanziaria di cui al paragrafo 1, fatti salvi i termini stabiliti nel contratto di garanzia finanziaria con costituzione di garanzia reale, non prescrivono l’obbligo: a) che l’intenzione di procedere al realizzo sia stata preliminarmente comunicata; b) che le condizioni del realizzo siano approvate da un tribunale, un pubblico ufficiale o altra persona; c) che il realizzo avvenga per asta pubblica o in altra forma prescritta; o d) che un periodo supplementare sia trascorso” (comma 4), e che “gli Stati membri garantiscono che un contratto di garanzia finanziaria abbia effetto conformemente ai termini in esso previsti nonostante l’avvio o il proseguimento di una procedura di liquidazione o di provvedimenti di risanamento nei confronti del datore o del beneficiario della garanzia” (comma 5).

Alla luce della disposizione sopra riportata e delle finalità della direttiva a cui il d. lgs. 170/2004 ha inteso dare attuazione, per la pronuncia in commento “deve ritenersi che le norme speciali in tema di contratto di garanzia finanziaria deroghino a quelle di carattere generale previste dalla legge fallimentare, tra cui l’art. 53 L.F.”.

Inoltre, “sempre in considerazione della ratio della normativa comunitaria, non sembra che la tardiva comunicazione circa l’utilizzazione della garanzia, inviata al datore della garanzia stessa ovvero agli organi della procedura fallimentare, possa determinare l’invalidità o l’inefficacia dell’escussione medesima, con conseguente obbligo di restituire la somma appresa, potendo, al contrario, ciò dar luogo semplicemente ad una responsabilità risarcitoria nell’ipotesi in cui l’inosservanza dell’obbligo in questione (che nel caso di specie è previsto non solo dalla legge, ma anche dal contratto) abbia provocato danni”.

Pertanto, “L’eventuale mancato ricevimento, da parte della Curatela, della comunicazione dell’istituto di credito di utilizzazione del diritto di garanzia finanziaria, così come la mancata menzione della garanzia medesima in sede di domanda di insinuazione al passivo, non ha di certo il significato univoco di una rinuncia alla garanzia medesima, specie alla luce delle difese svolte dalla banca convenuta nella presente sede processuale”.