Opponibile l’anatocismo anche nel contratto autonomo di garanzia. Lo ha precisato Cass. Civile, Sez. 1, ord., 6/9/2021 n. 24011.

Nel caso sottoposto alla Suprema Corte, il giudice d’appello aveva ritenuto che le norme in materia di anatocismo non abbiano natura imperativa, sul rilievo che l’applicazione di interessi anatocistici sia precisamente regolamentata entro certi limiti dalle disposizioni di cui agli artt. 1283 e 1284 cod. civ..

Su questa premessa il giudice di secondo grado ha ritenuto che il garante vincolato da contratto autonomo di garanzia non potesse opporre al creditore la nullità derivante dalla violazione di tali disposizioni.

In sostanza, la Corte territoriale aveva ritenuto che, non essendoci nel nostro ordinamento un divieto assoluto di applicazione di interessi anatocistici e ultralegali, essendo tale applicazione consentita quantomeno alle condizioni rispettivamente previste dagli artt. 1283 e 1284 cod. civ., non potesse venire in considerazione una fattispecie di contrarietà del rapporto contrattuale a norme imperative.

La Corte Suprema ha cassato la decisione del giudice d’appello ritenendo anzitutto che “nel contratto autonomo di garanzia il garante è legittimato a proporre eccezioni fondate sulla nullità anche parziale del contratto base per contrarietà a norme imperative, con la conseguenza che può essere sollevata anche da costui, nei confronti della banca, l’eccezione di nullità della clausola anatocistica, atteso che la soluzione contraria consentirebbe al creditore di ottenere, per il tramite del garante, un risultato che l’ordinamento vieta“, ribadendo così un orientamento che fa capo a due precedenti decisioni (Cass. n. 371 del 10/01/2018; Cass. S.U. 3947/2010, in motivazione).


Pertanto, “il garante è legittimato a sollevare nei confronti della banca l’eccezione di nullità della clausola anatocistica, atteso che, ove non ricorrano le particolari condizioni legittimanti previste dall’art. 1283 cod. civ., la capitalizzazione, fondandosi su un uso negoziale, anziché normativo (il solo che ammette la deroga dell’art. 1283 cod.), deve ritenersi vietata per violazione di una norma cogente, dettata a tutela di un interesse pubblico“.


Invero, “non è affatto sufficiente, per ritenere che l’applicazione di interessi anatocistici non sia contraria a norme imperative, il rilievo, in astratto, che nel nostro ordinamento il divieto di anatocismo non sia assoluto, per essere quest’ultimo ammesso sia alle
particolare condizioni previste dall’art. 1283 cod. civ., sia, per gli esercenti l’attività bancaria dall’art. 120 T.U.B., alle condizioni previste dall’art. 2 comma 2° delibera CICR 9 febbraio 2000 (medesima periodicità nella capitalizzazione degli interessi debitori e creditori). Occorre, infatti, esaminare, in concreto, nel testo contrattuale se siano stati o meno pattuiti dalle parti interessi anatocistici in violazione di quanto previsto dagli artt. 1283 cod. civ. e 120 T.U.B, essendo indubitabile, in caso affermativo,
la contrarietà di tale clausola ad una norma imperativa
“.

In conclusione, “ove il correntista alleghi l’applicazione di interessi anatocistici in virtù di clausole inserite nel contratto di
conto corrente in violazione dell’art. 1283 cod. civ. (o dell’art. 120 TUB), venendo in considerazione una fattispecie di applicazione di interessi in contrasto con norme imperative, la nullità si comunica al rapporto di garanzia autonoma e la relativa eccezione può essere fatta valere quindi anche dal garante
“.