E’ legittima l’assicurazione sulla vita stipulata sulla vita di un terzo per conto altrui, cioè sulla vita di una persona diversa e a beneficio, ad esempio, dei suoi eredi.

Lo ha affermato Cassazione civile sez. III, 11/07/2022, n. 21863 in un caso in cui la Corte è stata chiamata a giudicare della validità e della corretta interpretazione di un contratto di assicurazione sulla vita sottoposto dalla banca al cliente mutuatario a garanzia del pagamento del debito residuo in caso di morte.

La sentenza si segnala per l’esaustivo percorso argomentativo seguito per confermare la sentenza della Corte d’Appello di Venezia che, in riforma della sentenza di primo grado, aveva accolto la domanda degli eredi del mutuatario, condannando la compagnia assicurativa convenuta a pagare alla banca il debito residuo.

Definizioni

Nella sentenza in commento la Corte si sofferma anzitutto sulle definizioni delle categorie impiegate, ritenendo ciò doveroso in ossequio all’insegnamento delle Sezioni Unite, secondo cui “il rigore linguistico è premessa indefettibile nella ricostruzione degli istituti” (cfr. Sez. Unite, sent. n. 12310 del 15/06/2015).

Queste le definizioni date dalla sentenza:

– “contraente“: colui il quale manifesta il consenso alla stipula del contratto di assicurazione

– “assicurato“: il titolare dell’interesse esposto al rischio, ai sensi dell’art. 1904 c.c., con la precisazione che, così definito il concetto di “assicurato”, esso non è concepibile nell’assicurazione sulla vita, nella quale l’interesse non è elemento essenziale;

– “beneficiario“: il creditore del diritto all’indennizzo, con la precisazione che da ciò consegue che:

  • nell’assicurazione contro i danni per conto proprio il beneficiario coincide necessariamente col contraente, e questi con l’assicurato;
  • nell’assicurazione contro i danni per conto altrui il beneficiario coincide necessariamente con l’assicurato, ma non col contraente;
  • nell’assicurazione contro i danni per conto di chi spetta il beneficiario potrà coincidere tanto col contraente, quanto con l’assicurato, a seconda di chi tra essi risulterà titolare dell’interesse al momento del sinistro;
  • nell’assicurazione sulla vita il beneficiario sarà quegli designato nel contratto e potrà coincidere col contraente, col portatore di rischio (ovviamente nella sola ipotesi di assicurazione per il caso di vita) o con un terzo.

– “portatore di rischio“: il soggetto alla cui morte od alla cui sopravvivenza il contratto di assicurazione sulla vita ha subordinato l’obbligazione dell’assicuratore, con la consgeuenza che tale figura sarà sempre presente nell’assicurazione sulla vita, e potrà coincidere col contraente, col beneficiario o con un terzo, mentre non è concepibile nell’assicurazione contro i danni.

Le contraddizioni contrattuali ravvisate nel caso di specie

Prima di esaminare nel merito la questione, la Corte ha evidenziato come la Corte d’Appello di Venezia si sia trovata dinanzi a “patti contrattuali che costituivano oggettivamente un perfetto esempio di come non si dovrebbe scrivere un contratto di assicurazione (ed anzi qualsiasi contratto): tante e tali erano le contraddizioni, le ambiguità e le aporie giuridiche in esso presenti, con buona pace dell’art. 166, comma 1 cod. ass., il quale – già in vigore da un anno e mezzo all’epoca della stipula del mutuo – proclama solennemente che ‘il contratto va redatto in modo chiaro ed esauriente’“.

Da un lato, infatti, il contratto affermava di essere stato stipulato dalla banca “per conto” dei mutuatari, così lasciando presumere una sostituzione gestoria della prima ai secondi, e nell’interesse di questi. Dall’altro lato, però, l’art. 7 delle condizioni generali attribuiva espressamente il diritto all’indennizzo “al contraente”, e cioè la banca. Affermazioni, queste ultime, incompatibili, dal momento che nella stipula “per conto” l’interesse protetto non è mai (o non è mai soltanto) quello di chi stipula.

Ancora: da un lato, il pagamento del premio era addossato al mutuatario (art. 8 delle condizioni generali, ove sibillinamente si proclamava che il premio fosse pagato “per il tramite” della banca, e non “dalla banca”), così lasciando presumere che il mutuatario fosse anche contraente (ed infatti l’obbligo di pagamento del premio grava di norma sul contraente); dall’altro lato, però, il rimborso del premio nel caso di anticipata risoluzione del mutuo era previsto in favore della banca (art. 9 delle condizioni generali), cioè del soggetto che non l’aveva versato.

E poi ancora: da un lato, il pagamento dell’indennizzo era previsto, come detto, a favore del contraente, e cioè la banca (art. 8); dall’altro, però, il contratto prevedeva il divieto per l'”assicurato” (e cioè il mutuatario, secondo le definizioni contrattuali) di cedere a terzi i “diritti derivanti dal contratto di assicurazione”: previsione inconcepibile ove si assuma che il mutuatario fosse un mero portatore di rischio e non avesse diritti di sorta da vantare nei confronti dell’assicuratore.

L’accordo quadro stipulato dalla banca con la compagnia

Per la Corte di Cassazione, nel caso di specie, la banca mutuante non aveva stipulato alcun contratto di assicurazione, ma solo una convenzione quadro (definita, forse impropriamente, “assicurazione collettiva”) volta a disciplinare la futura stipula di contratti di assicurazione fra la compagnia e i singoli mutuatari.

Infatti, della vera e propria assicurazione mancavano, nel contratto stipulato dalla banca con la compagnia, due elementi essenziali: il rischio e il premio.

Mancava il primo, perché l’assicuratore non si accollava alcun rischio e mancava il secondo perché il contraente banca non versava e non si obbligava a versare alcunché.

Accordi quadro di questo genere vanno quindi qualificati come “contratti normativi”, mentre “assicurazione” sarà solo il contratto stipulato “a valle”, dal singolo aderente.

Ricorrendo questa ipotesi, dovrà qualificarsi “contraente” della polizza non chi ha stipulato il contratto normativo presupposto, ma il c.d. “aderente”, perché è questi che manifesta il consenso alla copertura assicurativa e sostiene l’onere del premio.

Si trattava, dunque, non d’una assicurazione “collettiva”, ma d’un contratto normativo destinato a regolare le condizioni alle quali i clienti della banca, manifestando il proprio consenso rendevano operante la copertura assicurativa.

Più in particolare, la banca e la compagnia non avevano “stipulato alcuna assicurazione per conto’ dei clienti della seconda, bensì un contratto normativo destinato a disciplinare le polizze che i clienti avrebbero stipulato – essi sì – per conto sia proprio, sia della banca, ai sensi dell’art. 1891 c.c.” [1].

La validità dell’assicurazione sulla vita del mutuatario

Per la sentenza in commento “è possibile stipulare un’assicurazione sulla vita di un terzo per conto altrui: è il caso, ad esempio, in cui taluno stipuli un’assicurazione sulla vita della figlia a beneficio del genero“.

Più in particolare, per la Corte “l’obiezione mossa da autorevole, ma isolata e remota dottrina a tale ricostruzione (secondo cui, poiché l’assicurazione sulla vita prescinde dal requisito dell’interesse, non sarebbe concepibile una stipula per conto’, e cioè nell’interesse altrui) trascura di considerare da un lato che l’art. 1891 c.c. è norma inserita nelle disposizioni sull’assicurazione in generale, e dunque applicabile anche all’assicurazione sulla vita; e dall’altro che l’interesse di cui all’art. 1904 c.c., presupposto di validità dell’assicurazione contro i danni, non è concetto necessariamente coincidente con la nozione di stipulazione ‘per conto’, di cui all’art. 1891 c.c.. Al contrario, proprio la circostanza che il legislatore abbia usato, nell’art. 1891 c.c., l’espressione ‘assicurazione per conto altrui’, invece che – ad esempio – l’espressione ‘assicurazione nell’interesse altrui‘, dimostra che la suddetta espressione va interpretata quale sinonimo di ‘stipulazione a vantaggio altrui’, vantaggio che nell’assicurazione sulla vita prescinde dall’esistenza dell’interesse avverso all’avverarsi del rischio, richiesto dall’art. 1904 c.c.“.

Deve pertanto ritenersi valida l’assicurazione stipulata sulla vita del mutuatario, che come la si voglia chiamare “(polizza stipulata dalla banca ‘per conto’ del cliente; o polizza stipulata dal cliente nell’interesse della banca), essendo preordinata a soddisfare non solo l’interesse della banca, ma due interessi convergenti: quello della banca a non perdere il proprio credito, e quello degli eredi del mutuatario a non accollarsi jure haereditario il debito del de cuius“.

Nè, prosegue la Corte, “l’esistenza di interessi convergenti è incompatibile con l’assicurazione sulla vita. Infatti, se è vero che l’assicurazione sulla vita prescinde dal requisito dell’interesse dell’assicurato (art. 1904 c.c.) e non è soggetta al principio indennitario (con la conseguenza che – teoricamente – il creditore che stipuli una polizza sulla vita del proprio debitore può legittimamente pretendere l’indennizzo dall’assicuratore e l’adempimento dagli eredi del debitore), non è men vero che l’assicurazione sulla vita è strumento duttile, che proprio a causa della sua esenzione dal principio indennitario può essere indirettamente utilizzato per gli scopi più disparati: di previdenza, di risparmio, di liberalità o di garanzia, come per l’appunto avvenuto nel caso di specie“.

In conclusione, per la Corte:

– se si qualifica la fattispecie come contratto di assicurazione stipulato dalla banca, tale contratto aveva lo scopo di recare vantaggio anche agli eredi del mutuatario, e di conseguenza costituiva un’assicurazione per conto di questi ultimi ex art. 1891 c.c., i quali erano perciò titolari del diritto di esigere dall’assicuratore che versasse l’indennizzo alla banca, ad estinzione del mutuo;

– se si qualifica la fattispecie come contratto di assicurazione stipulato dal mutuatario, anche in tal caso il contratto aveva lo scopo di recare vantaggio sia alla banca (che perciò ne era beneficiaria ex art. 1891 c.c.), sia al contraente e per lui ai suoi eredi: ed a fortiori in tal caso essi erano titolari del diritto di esigere dall’assicuratore che versasse l’indennizzo alla banca, ad estinzione del mutuo.

Sulla base di tali argomentazioni, la Corte ha fissato infine i seguenti tre principi di diritto:

  • Le disposizioni dettate dall’art. 1891 c.c. in tema di assicurazione per conto altrui non sono incompatibili con l’assicurazione sulla vita“;

  • L’assicurazione sulla vita per il caso di morte non impedisce di designare quale beneficiario lo stesso portatore di rischio: in tal caso l’indennizzo si devolverà mortis causa ai suoi eredi“;

  • Il contratto di assicurazione sulla vita del mutuatario il quale preveda che, in caso di morte di quest’ultimo, l’indennizzo sia dovuto alla banca mutuante, e nello stesso tempo che il versamento dell’indennizzo estingue il credito residuo della banca verso il mutuatario, senza diritto dell’assicurazione di surrogarsi alla banca, è un contratto il cui scopo è soddisfare due interessi convergenti: quello della banca al rimborso del mutuo, e quello del mutuatario (e dei suoi eredi) a non restare esposti all’azione esecutiva della banca. Ne consegue che gli eredi del mutuatario, in caso di inadempimento dell’assicuratore, sono legittimati a domandare la condanna dell’assicuratore al pagamento dell’indennizzo nelle mani della banca“.

_______________________________________________________________

[1] Art. 1891 c.c. – Assicurazione per conto altrui o per conto di chi spetta – Se l’assicurazione è stipulata per conto altrui o per conto di chi spetta, il contraente deve adempiere gli obblighi derivanti dal contratto, salvi quelli che per loro natura non possono essere adempiuti che dall’assicurato. I diritti derivanti dal contratto spettano all’assicurato, e il contraente, anche se in possesso della polizza, non può farli valere senza espresso consenso dell’assicurato medesimo.