Maggiore attenzione sarà richiesta alle banche nella predisposizione dei contratti di pegno al fine di individuare in maniera chiara il credito e l’oggetto della garanzia ed evitare la decadenza dalla prelazione prevista dall’art. 2787 comma 3 c.c., per il caso in cui il pegno non risulti da atto avente data certa e con sufficiente indicazione del credito garantito e della cosa data in garanzia.

Il problema sorge in particolare per le garanzie di pegno previste in condizioni generali di contratto e riferite genericamente a tutti i possibili crediti della banca (quanto al credito da garantire) e a tutte le possibili giacenze del cliente (quanto all’oggetto della garanzia).

Sul punto è intervenuta di recente la Corte di Cassazione con un inciso piuttosto significativo (Corte di Cassazione, Sez. I, 5 agosto 2019, n. 20895).

La soc. coop. Cassa Padana aveva chiesto di essere ammessa al passivo del fallimento di una propria cliente per crediti derivanti da mutuo, da saldo di conto corrente e da regresso per credito di firma escusso dal garantito. Per talune di queste voci, la Cassa aveva chiesto l’ammissione in prelazione pignoratizia, per altre in via di chirografo.

Il giudice delegato aveva ammesso l’intero credito richiesto in via chirografa, rilevando l'”esclusione del richiesto privilegio pignoratizio in quanto non provato il diritto di prelazione con data certa anteriore al fallimento”.

Per tale ragione la Cassa Padana aveva proposto opposizione allo stato passivo ex art. 98 e ss. l.fall., che veniva rigettata dal Tribunale poiché, nonostante la sussistenza di idonea data certa degli atti di garanzia (“sono stati prodotti in questa sede gli originale degli atti di pegno dai quali si evince l’apposizione sul retro degli stessi del timbro postale”), il giudice aveva peraltro ritenuto la fondatezza dell’eccezione di nullità e/o inopponibilità del pegno per indeterminatezza sub specie di violazione dell’art. 2787 c.c., comma 3, sollevata dalla curatela con riguardo all’art. 8 delle Condizioni di pegno, secondo le quali il pegno si intendeva altresì costituito “a garanzia di ogni altro credito – anche se non liquido ed esigibile e anche se assistito da altra garanzia reale o personale – già in essere o che dovesse sorgere a favore della Cassaverso il debitore,rappresentato da saldo passivo di conto corrente e/o dipendente da qualunque operazione bancaria“.

In proposito, la pronuncia ha rilevato, anche richiamandosi alla decisione di Cass. 25 marzo 2009, n. 7214, che la “mera determinabilità del rapporto” garantito, che segue al confezionamento di un pegno omnibus, “comporta l’inopponibilità del pegno agli altri creditori (ivi compreso il curatore, in caso di fallimento del soggetto che abbia costituito la garanzia), qualora, dovendo trovare applicazione la norma dell’art. 2783 c.c., comma 3, manchi la sufficiente indicazione del credito garantito“.

Investita della questione, la Corte di Cassazione, Sez. I, 5 agosto 2019, n. 20895, Giudice est. Dolmetta, nella pronuncia con cui ha dichiarato inammissibile il motivo di ricorso, ha avuto l’occasione di precisare che rispetto alla questione del “rapporto – di essenzialità o meno – tra una singola clausola e l’intero contesto contrattuale che la contiene”, che costituisce un “giudizio inteso a cogliere, nel concreto, il peso e valore di una parte dell’operazione rispetto al suo tutto (secondo quanto emerge evidente, del resto, dalla formulazione della norma dell’art. 1419 c.c., comma 1), (…) la circostanza di un’eventuale presenza in contratto di clausole, che pongono dei beni (anche) alla specifica sicurezza di talune voci di credito, non indica il ruolo che le condizioni generali di un contratto di pegno assegnano alla clausola di pegno omnibus; l’assunta presenza di tali clausole, più che risolvere, pone il problema: in specie, va tenuto conto che la presenza costante (da tempi remoti) della clausola omnibus nei moduli contrattuali predisposti dalle banche manifesta in linea di principio come la clausola rivesta carattere connotativo del “fare credito” di questo tipo di imprese”.

Un inciso con cui la Corte sembra sottendere l’inefficacia per indeterminatezza delle clausole di pegno omnibus rispetto al privilegio ex art. 2787 comma 3 c.c., laddove genericamente riferite alle posizioni creditorie del costituente.

Poco prima sul punto era intervenuto anche il Tribunale di Milano (Sez. II., decr., 30/07/2019), che aveva sostenuto che “non vi è luogo alla prelazione se, per effetto della estrema genericità delle espressioni usate, il credito garantito possa essere individuato soltanto mediante l’ausilio di ulteriori elementi esteriori”, escludendo così la prealzione dei pegni su polizza rilasciati a garanzia della banca che facevano generico ed indeterminato riferimento a “castelletti per il rilascio di fideiussioni commerciali”, e non allo specifico credito da fideiussione per cui era causa.

Il principio base espresso dalla Suprema Corte rimane, quindi, che “Agli effetti dell’art. 2787 c.c., la sufficiente indicazione del credito garantito, può essere desunta in via indiretta, in base ad elementi che comunque portino alla identificazione del credito in questione, che siano presenti all’interno della scrittura o anche ad essa esterni, purché il documento contenga indici di collegamento utili alla individuazione del credito e della cosa” (Cassazione civ. Sez. I Sent., 02/10/2007, n. 20699 e Cass. civ. Sez. I, 26/01/2006, n. 1532).

Ancor prima la Corte aveva stabilito che “E’ nullo per indeterminatezza e indeterminabilità dell’oggetto il contratto di pegno su titoli (nella specie, costituito in favore di una banca) che si limiti ad indicare, del tutto genericamente, quale oggetto della garanzia reale, ‘i titoli ed i valori depositati o che verranno depositati sul conto/deposito a garanzia esistente presso la banca creditrice’, così omettendo di indicare non solo gli elementi propri di ciascuno dei “titoli e valori”, ma persino la relativa categoria di appartenenza” (Cass. civ. Sez. I, 20/03/2003, n. 4079).